ABUSIVO L'ACCUMULO NON OCCASIONALE DI RIFIUTI
DETERMINAZIONE TRASFERIMENTI ERARIALI
Corte di Cassazione - Sezione III penale - Sentenza 21 novembre 2007-7
gennaio 2008 n
Corte
di Cassazione - Sezione III penale - Sentenza 21 novembre 2007-7 gennaio 2008
n. 203 Presidente
Postiglione - Relatore Gazzarra
Svolgimento
del processo
Con la sentenza
impugnata la Corte di Appello di Palermo ha confermato la pronuncia di
colpevolezza di Bo.Gi. in ordine ai reati: a) di cui all'articolo 81 cpv. c.p.
e Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51 commi 1, 2 e 3; b) di cui
all'articolo 349 c.p., commi 1 e 2; c) di cui all'articolo 81 cpv. c.p. e
Decreto Legislativo n. 152 del 1999 articolo 59; ascrittigli perché, quale
titolare dell'azienda denominata Ar.Ma., aveva effettuato il deposito
incontrollato di un ingente quantitativo di rifiuti speciali non pericolosi,
costituiti da fanghi e scarti provenienti dalla lavorazione del marmo realizzando
una discarica non autorizzata dei predetti rifiuti; aveva inoltre violato i
sigilli apposti dall'autorità giudiziaria per impedire la prosecuzione
dell'attività illecita e effettuato lo scarico di acque reflue industriali
derivanti dalla lavorazione del marmo senza la prescritta autorizzazione. La
Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante
aveva contestato, tra l'altro, l'esistenza della discarica, sostenendo che si
trattava di un deposito temporaneo dei rifiuti in attesa del loro smaltimento,
ed invocato con riferimento a detto reato ed a quello di cui all'articolo 349
c.p. l'esimente dello stato di necessità, nonché, in relazione a quest'ultima
fattispecie la configurabilità della sola violazione di cui all'articolo 334
c.p..
La sentenza ha, però, dichiarato le attenuanti generiche concesse dal giudice
di primo grado equivalenti alla contestata aggravante di cui all'articolo 349
c.p., rideterminando la pena inflitta all'imputato nella misura precisata in
epigrafe.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, che la denuncia per
violazione di legge e vizi della motivazione.
Motivi
della decisione
Con il primo
motivo di impugnazione il ricorrente denuncia la violazione ed errata
applicazione del Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51 comma 3,
nonché la carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione della
sentenza.
Con il motivo di gravame vengono riproposte, in sintesi, le stesse doglianze
formulate in punto di fatto dinanzi alla Corte territoriale, deducendosi - che
l'imputato non ha affatto inteso costituire una discarica abusiva, in quanto si
era limitato ad effettuare il deposito temporaneo dei rifiuti derivanti dalla
lavorazione del marmo in attesa del loro avvio definitivo allo smaltimento. In
proposito si osserva che nel territorio della Provincia di Trapani non vi sono
discariche autorizzate a ricevere i fanghi di cui si tratta e tale circostanza
ha reso difficile il rispetto della normativa vigente in materia di avvio dei
rifiuti allo smaltimento, poiché l'unico sito per poterli conferire è il
Ripristino Ambientale del Consorzio Perlato di Sicilia. Si osserva inoltre che
dove ha sede attualmente l'azienda dell'imputato in precedenza svolgeva la
propria attività un'altra ditta del cui operato non può essere chiamato a
rispondere il Bo.
Tanto esposto in punto di fatto, il ricorrente prosegue, mediante l'esame della
normativa di cui al Decreto Legislativo n. 22 del 1997 con la individuazione
delle nozioni di abbandono di rifiuti, di deposito temporaneo degli stessi
presso il produttore e di discarica abusiva, anche alla luce di quanto previsto
dal Decreto Legislativo n. 36 del 2003 deducendo sostanzialmente che tali
termini sono stati considerati erroneamente sinonimi dai C.C. e dalla pubblica
accusa e che nel caso in esame non ricorrono le condizioni per ritenere la
sussistenza di una discarica abusiva.
Con il secondo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia per violazione di
legge e carenza di motivazione l'affermazione di colpevolezza per il reato di
violazione di sigilli. Si deduce che la sentenza impugnata ha omesso di
valutare l'esistenza delle condizioni atte a configurare l'esimente dello stato
di necessità, considerata l'assenza di discariche autorizzate nella provincia
di Trapani e che, in ogni caso, il fatto ascritto al Bo. doveva essere
ricondotto all'ipotesi di reato di cui all'articolo 334 c.p., non essendo stato
posto in essere mediante la materiale effrazione di sigilli.
Con l'ultimo motivo il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione
del Decreto Legislativo n. 36 del 2003 articolo 59.
Si osserva, in sintesi, che i reflui derivanti dalla lavorazione del marmo
contengono esclusivamente carbonato di calcio per cui non possono essere
equiparati alle acque industriali e ne è consentito, lo scarico nel suolo ai
sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 29 lettera d) senza
autorizzazione.
Il ricorso, che è al limite dell'ammissibilità per essere prevalentemente
fondato su deduzioni di natura fattuale, non è fondato.
È stato reiteratamente affermato da questa Corte in ordine alla nozione di
discarica abusiva che «In tema di gestione di rifiuti, ai fini della
configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non
autorizzata, di cui al Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, articolo 51
comma 3, è necessario l'accumulo, più o meno sistematico ma comunque ripetuto e
non occasionale, di rifiuti in un'area determinata, la eterogeneità
dell'ammasso dei materiali, la definitività del loro abbandono ed il degrado,
anche solo tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei
materiali in questione (sez. 3, 17/6/2004 n. 27296, Micheletti, RV 229062;
conf. sez. 3, 8/9/2004 n. 36062, Tomasoni; RV 229484).
Orbene, la sentenza impugnata, nell'affermare la colpevolezza dell'imputato in
ordine al reato ascrittogli, ha applicato puntualmente l'enunciato principio di
diritto, avendo i giudici di merito osservato che nella specie deve ravvisarsi
la sussistenza di una vera e propria discarica in considerazione del
considerevole quantitativo di fanghi essiccati, che avevano raggiunto l'altezza
di dieci metri rispetto al livello stradale, e della analisi del registro di
carico e scarico della ditta gestita dal Bo. in ordine al mancato conferimento
dei predetti rifiuti.
Si è osservato inoltre che la realizzazione della discarica da parte della
ditta che ha gestito in precedenza l'impianto per la lavorazione del marmo non
vale ad escludere la responsabilità dell'imputato, essendo stato accertato il
suo contributo causale alla realizzazione della predetta discarica abusiva
mediante l'ulteriore deposito nell'area di ingenti quantitativi di rifiuti
speciali. Pertanto, le censure di natura prevalentemente fattuale, dedotte
nuovamente dal ricorrente sono state già esaminate dai giudici di merito e
ritenute inconferenti, al fine di escludere l'esistenza di una discarica
abusiva; nonché il contributo causale dell'imputato alla realizzazione della
stessa, con motivazione esaustiva ed immune da vizi logici.
Né la definizione di discarica di cui al Decreto Legislativo 13 gennaio 2003,
n. 36, articolo 2 comma 1, lettera g), emanato in attuazione della Direttiva
1999/31/CE, contiene elementi che contrastino con l'accertamento di fatto
contenuto nella sentenza, dovendosi rilevare che è considerata discarica, ai
sensi della disposizione citata, anche la zona interna al luogo di produzione
dei rifiuti destinata stabilmente allo smaltimento degli stessi, così come
accertato nel caso in esame dai giudici di merito.
La sentenza ha inoltre affermato, con argomentazione immune da vizi logici, che
la inesistenza nel territorio della Provincia di Trapani di discariche
autorizzate per lo smaltimento dei fanghi di depurazione non giustifica la
realizzazione di una discarica abusiva, risolvendosi peraltro tale carenza solo
in una maggiore onerosità e non nella impossibilità delle operazioni di
smaltimento.
Anche gli ulteriori motivi di gravame sono infondati.
Con riferimento alla invocata esimente dello stato di necessità per il delitto
di violazione di sigilli la sentenza impugnata ha già correttamente osservato
che, in ogni caso, «la scriminante dello stato di necessità opera solo allorché
la condotta illecita sia diretta ad evitare un danno grave alla persona, da
intendersi nella sua accezione fisica e morale, ma non patrimoniale», sicché
l'imprenditore non può invocare lo stato di necessità della sua azione per fini
sociali e di mercato relativi ai dipendenti della sua azienda.
È stato inoltre rilevato nella predetta sentenza, sempre in relazione al
delitto di violazione di sigilli, che l'imputato ha utilizzato un impianto
sottoposto a sequestro probatorio e sul quale i sigilli erano stati
effettivamente apposti, mentre a nulla rileva la circostanza che l'uso
dell'impianto sia avvenuto senza che vi sia stata la materiale effrazione dei
sigilli.
Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte,
infatti, «Il delitto di violazione di sigilli, previsto dall'articolo 349 c.p.,
si consuma non soltanto con la distruzione materiale dei sigilli, ma anche con
ogni altra condotta diretta a violare il vincolo di indisponibilità sotteso
allo loro apposizione, atteso che la norma in questione tutela non solo
l'integrità materiale ma anche quella funzionale dei sigilli.» (sez. 3,
2002/26185, Spini, RV 225383; conf. sez. 3, 2004/37898, Priolo, RV 230043; sez.
3, 2003/6000, Carpanese, RV 224472).
In relazione alle censure afferenti al reato di cui al Decreto Legislativo n.
152 del 1999, articolo 59 comma 1, va, infine, osservato che il disposto di cui
al Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 29 comma 1, lettera d), che
consente, a determinate condizioni, lo scarico sul suolo delle acque di
lavaggio delle sostanze minerali, non esime affatto colui che effettua lo scarico
dall'obbligo di munirsi della prescritta autorizzazione ai sensi dell'articolo
45, comma 1, del decreto, sicché, in assenza del provvedimento autorizzatorio e
non trattandosi in ogni caso di acque reflue domestiche, è stato correttamente
configurato il reato di cui alla disposizione citata.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.
al rigetto dell'impugnazione segue, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
......