ABUSO D'UFFICIO SE SI "ARCHIVIANO" LE MULTE
Parametri obiettivi 2010-2012 per gli enti deficitari
Corte di cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 25 gennaio-15 aprile
2010 n
Corte di cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 25 gennaio-15
aprile 2010 n. 14599
Ritenuto in fatto
1. Tu.Ra. impugna la sentenza in
epigrafe indicata con la quale è stata confermata la decisione di primo grado
che lo dichiarò responsabile dei delitti di abuso d’ufficio e di omissione di
atti d’ufficio.
In
particolare, Tu.Ra. è stato ritenuto responsabile del delitto di abuso
d’ufficio perché nella qualità di sindaco del comune di (OMESSO), in violazione
della Legge n. 689 del 1981, articolo 18, archiviava i verbali di accertamento
delle violazioni amministrative elevate nei confronti di alcuni cittadini,
procurando loro un ingiustificato e illecito vantaggio con l’archiviazione dei
predetti verbali e quindi con il mancato completamento della procedura
amministrativa stabilita per l’applicazione delle sanzioni ovvero per
l’annullamento dell’atto con conseguente ingiustificato danno per il comune di
(OMESSO). Inoltre, Tu. è stato dichiarato responsabile del delitto di omissione
di atti d’ufficio per non avere adottato alcun provvedimento in ordine ai
verbali di contestazioni di violazioni varie, nonostante i solleciti rivoltigli
dal Comandante della polizia municipale del Comune di (OMESSO).
Il
giudice d’appello ha condiviso le conclusioni raggiunte dal tribunale e ha
ritenuto infondata la questione posta dalla difesa secondo cui i provvedimenti
sui quali era stata apposta la firma in calce al provvedimento di archiviazione
non erano originali, bensì solo fotocopie e, come tali, non consentivano di
avere la certezza che riproducessero l’integrale e autentico contenuto dei
provvedimenti originali.
Per il
giudice d’appello, i provvedimenti de quibus risultano, nelle copie acquisite agli atti del processo, sui
quali, con la stessa grafia, è stata riportata la sintetica e immotivata
formula “si accoglie il superiore ricorso e si ordina l’archiviazione”.
Peraltro,
l’imputato ha riconosciuto la propria firma, il testo scritto e la conformità
di tali copie ai relativi originali, come risulta dal verbale di udienza
innanzi al tribunale.
La
Corte territoriale ha confermato le valutazioni già espresse dal tribunale e,
in particolare, ha rilevato che non vi è alcun contrasto tra il fine perseguito
dall’imputato di ricercare il consenso per l’imminente competizione elettorale
per il rinnovo della carica di Sindaco e le condotte realizzate da Tu. .
Il
consenso elettorale non era perseguito con mezzi leciti, bensì attraverso la
violazione di norme per procurare agli esercenti l’innegabile vantaggio di non
corrispondere alcuna sanzione. Peraltro, è indifferente il movente dell’azione.
Ammesso che Tu. non fosse ricandidabile e che egli avesse agito solo per fare
piaceri a suoi conoscenti o per malanimo nei confronti dei vigili urbani, ciò
che rileva è la condotta realizzata.
Il
quadro probatorio, per il giudice d’appello, smentisce le deduzioni difensive -
peraltro non dirette a contestare i fatti e ad attribuirne un diverso
significato circa l’isolamento subito e i comportamenti vessatori della polizia
municipale - e conferma invece che Tu. ha agito con la precisa consapevolezza
di realizzare un proprio e altrui interesse, arrecando un consistente
pregiudizio al comune.
Quanto
a delitto di omissione di atti d’ufficio, la Corte d’appello rileva che Tu. non
contesta anche qui di avere omesso di adottare un provvedimento a definizione
dei procedimenti, bensì solo l’involontarietà e la superficialità delle
condotte.
Dagli
elementi acquisiti, risulta che i procedimenti indicati nell’imputazione si
riferiscono a illeciti contestati negli anni (OMESSO) e per i quali era scaduto
ampiamente il termine per il pagamento in sanzione ridotta, senza che i
contravventori avessero proposto ricorso. Risulta, altresì, che il comandante
della polizia municipale ha sollecitato il Sindaco nel mese di luglio 2001 ad
adottare i provvedimenti con la trasmissione di un modulo per l’emissione di
un’ordinanza oppure di un’archiviazione.
Tale
circostanza, riferita dallo stesso comandante della poli- zia municipale,
integra il delitto di omissione di atti d’ufficio, posta in essere
consapevolmente da Tu. nell’intento di contrastare l’azione repressiva della
polizia municipale, che egli aveva interpretato come un attacco alla sua
persona.
Pena
adeguata e stabilita in misura pressoché pari ai limiti edittali.
2. Il ricorrente censura la sentenza
impugnata per:
1.
Violazione dell’articolo 191 c.p.p. e articolo 234 c.p.p., comma 2, in punto di
affermazione di responsabilità per il reati di cui all’articolo 323 c.p.
L’accusa
è fondata su fotocopie dei verbali di accertamento e i giudici di merito in
base a tali documenti sono pervenuti all’affermazione di responsabilità. La
prova documentale, per il ricorrente, è stata acquisita in violazione
dell’articolo 234 c.p.p. e, come tale, avrebbe dovuto essere dichiarata
inutilizzabile. Non risulta che gli originali siano andati distrutti o
sottratti e in ogni caso da ritenere irrecuperabili e, pertanto, avrebbero
dovuto essere acquisiti agli atti del processo. In ogni caso, avrebbero dovuto
essere svolti accertamenti per verificare le condizioni richieste dal
richiamato articolo 234 c.p.p. allo scopo di legittimare l’acquisizioni in copia
dei documenti corredati di certificazione di autenticità.
2.
Violazione di legge e il vizio di motivazione, in ordine all’affermazione di
responsabilità per il delitto di omissione di atti d’ufficio. Ad avviso del
ricorrente, gli atti processuali dimostrano che i fatti non integrano la
condotta richiesta per la configurazione del reato. Si tratta di condotta
caratterizzata da profili di negligenza o superficialità, atteso che il ritardo
non ha prodotto alcun danno al Comune poiché i procedimenti si sono conclusi
con il pagamento delle sanzioni dovute.
Per il
ricorrente, i solleciti cui fa riferimento la Corte d’appello non risultano
dimostrati documentalmente.
3. Tale è la sintesi ex articolo 173
disp. att. c.p.p., comma 1 delle questioni poste.
Considerato in diritto
1. I motivi di ricorso in punto di
affermazione di responsabilità per il delitto di abuso d’ufficio sono
manifestamente infondati.
La
Corte di merito, dopo avere descritto il quadro probatorio, ha ricostruito i
fatti a esso coerenti e ha dimostrato le ragioni per le quali la condotta
presenta gli elementi oggettivo e soggettivo richiesti per la configurazione
del delitto di abuso: violazione di legge, dolo intenzionale volto a favorire i
contravventori mediante una illegittima archiviazione delle pratiche trasmesse
dalla polizia municipale. Infondata la censura relativa all’utilizzo dei
documenti in copia e non originale.
La
censura oltre che generica, per non avere indicato eventuali difformità tra
originali e copie, non tiene conto del legittimo utilizzo di copie degli atti
originali. Al riguardo, questa Corte si è espressa più volte nel senso che il
principio di non tassatività dei mezzi di prova sancito dall’articolo 189
c.p.p. consente l’acquisizione e l’utilizzazione del documento prodotto in
copia, anche in assenza dell’originale, nei casi in cui il giudice ritenga la
copia idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti, in difetto di specifiche
censure inerenti alla genuinità del documento ovvero alla presenza di difetti
tecnici che possano inficiarne l’attendibilità (Sez. 2, 22 maggio 2007, dep. 6
giugno 2007, n. 22184; Sez. 4, 26 febbraio 2008, dep. 8 maggio 2008, n. 18454).
Il
ricorso relativo a tale capo della sentenza va dunque rigettato.
2. A conclusione diversa, quanto
alla sussistenza degli elementi costitutivi richiesti per la configurazione del
reato, deve pervenirsi per l’affermazione di responsabilità per l’omissione di
atti d’ufficio.
Come
noto, l’articolo 328 c.p. disciplina due distinte ipotesi di reato: nella prima
il delitto si perfeziona con la semplice omissione del provvedimento di cui si
sollecita la tempestiva adozione, incidente su beni di valore primario
(giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene, sanità); nella
seconda, invece, ai fini della consumazione, è necessario il concorso di due
condotte omissive, la mancata adozione dell’atto entro trenta giorni dalla
richiesta scritta della parte interessata e la mancata risposta sulle ragioni
del ritardo.