AREE CON DIVIETO DI PUBBLICITÀ
Gare: sanzioni per irregolarità e false dichiarazioni
N
N.
01365/2010 REG.DEC.
N.
09301/1998 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso
r.g.n. 9301/1998, proposto dal:
Comune di Pomezia, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso
dall'avv. Giovanni Di Battista, con domicilio eletto presso lo studio del
medesimo, in Roma, via della Giuliana, 38;
contro
Societa'
"Publistar" di Morgani A. & C., in persona del legale
rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avv. Isabella Maria
Stoppani, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Brenta, 2/A;
per la
riforma
della
sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sezione II, n. 01174/1997, resa tra le parti e
concernente modificazioni al regolamento comunale in materia di pubblicità.
Visto il
ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto
di costituzione in giudizio della “Publistar”;
Viste le
memorie difensive;
Visti tutti
gli atti della causa;
Relatore,
nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2009, il Consigliere di Stato
Francesca QUADRI ed uditi, per le parti, gli avvocati Giovanni Di Battista ed
Isabella Maria Stoppani;
Ritenuto e
considerato, in fatto e diritto quanto, segue:
FATTO
A) - Con due
separati ricorsi, proposti dinanzi al T.a.r. Lazio, la società Publistar di
Morgani A. & C., operante nel settore della pubblicità cartellonistica
stradale e titolare di vari impianti pubblicitari, dislocati nel territorio del
Comune di Pomezia, impugnava la delib. C.c. Pomezia 29 gennaio 1992 n. 9, con
la quale erano state apportate modifiche al regolamento comunale sulla
pubblicità, in particolare introducendo il divieto di pubblicità illuminata e
sonora, vietando la pubblicità a mezzo di occupazione di suolo pubblico, paline
ed altro, in un’ampia area del comune, ed imponendo l’installazione dell’impianto
pubblicitario alla distanza di non oltre 50 metri dall’esercizio dell’attività
pubblicizzata, nonché l’ordinanza 15 maggio 1993 n. 177 del Commissario
straordinario del comune di Pomezia, con la quale si era ordinata alla
ricorrente, a causa dell’esigenza di effettuare lavori di rifacimento dei
marciapiedi, la rimozione di paline, pali e salva pedoni, posti in via Roma, e
di tutti quelli difformi dal regolamento comunale, entro trenta giorni dalla
data di notificazione del provvedimento.
Assumeva la
società, peraltro, che quella impugnata era stata preceduta da numerose altre
ordinanze contingibili ed urgenti, con cui era stata ordinata la rimozione di
diversi impianti pubblicitari, impugnate con diversi ricorsi e sospese in via
cautelare dal T.a.r..
Il T.a.r.,
riuniti i ricorsi, quanto alle censure rivolte contro la deliberazione
modificativa del regolamento comunale sulla pubblicità, accoglieva il motivo di
violazione dell’art. 41, Cost., giudicando la prescrizione vietante la
pubblicità, a mezzo di occupazione di suolo pubblico, paline o altro, su intere
strade e tratti del territorio comunale, come un divieto generalizzato ed
indiscriminato all’esercizio dell’attività delle imprese utilizzanti tale forma
di pubblicità, in spregio alla libertà d’iniziativa economica ed in assenza di
esternazione di ragioni (salvaguardia della sicurezza stradale, esigenze di
tutela paesaggistica o ambientale) giustificative, non potendosi considerare
sufficiente il generico richiamo, contenuto nel preambolo del provvedimento,
alla finalità di migliorare il servizio.
Per le
medesime ragioni il T.a.r. aveva considerato illegittima l’introduzione del
divieto generalizzato di pubblicità sonora e l’inibizione totale di pubblicità
illuminate (flash lampeggiante).
Da tali vizi
era disceso altresì l’accoglimento dei motivi di ricorso avverso l’ordinanza,
basata sulla violazione dei citati divieti, ritenuta dal T.a.r. affetta anche
da vizi propri, attese l’insussistenza del presupposto indicato nel
provvedimento (necessità di rifacimento dei marciapiedi), a causa dell’avvenuto
completamento dei lavori, e la mancata valutazione di soluzioni alternative al
divieto assoluto per il posizionamento di paline, contrastanti con l’esigenza
del Comune di realizzare uno scivolo del marciapiede.
Con
successivo decreto n. 1598/98 veniva accolta la richiesta di correzione di
errore materiale della sentenza, recante un dispositivo ( di rigetto)
contrastante con la motivazione (di accoglimento) dei ricorsi.
B) - Avverso
l’indicata sentenza ed avverso il decreto di correzione di errore materiale
proponeva appello il Comune di Pomezia, deducendo:
- nullità
del decreto di correzione, per essersi il T.a.r. pronunciato in violazione
dell’art. 112, c.p.c., su di un’istanza non sottoscritta;
- violazione
dell’art. 93, r.d. n. 642/1907, e dell’art. 19, legge n. 1034/1971, per essere
stato emanato il decreto di correzione senza il consenso del Comune, nonché in
assenza dei presupposti per la correzione dell’errore materiale;
- nullità
del decreto per essere stato emesso da un collegio in una composizione diversa
da quello che aveva pronunciato la sentenza;
- nullità
della sentenza per mancanza di data e per firma illeggibile dei giudici;
- violazione
dell’art. 41, Cost. non contenendo la deliberazione un divieto indiscriminato
di tutte le forme di pubblicità, ma solo di quella mediante occupazione di
suolo pubblico, con indicazione delle caratteristiche delle paline, ove
consentite;
- violazione
del d.lgs n. 285/1992, del d.P.R. n. 495/1992, della legge n. 118/1971, e del
d.P.R. n. 384/1978, vietanti opere ostacolanti la circolazione delle persone
invalide e la collocazione d’impianti sul bordo dei marciapiedi, implicanti la
demolizione di barriere architettoniche;
- la carenza
d’interesse della ricorrente a coltivare il gravame di primo grado, in ordine
al divieto di pubblicità sonora;
-
l’erroneità della decisione per non aver considerato, in merito all’ordinanza
impugnata, l’ostacolo per futuri lavori ai marciapiedi costituito dalla
presenza di paline.
Si
costituiva in resistenza la società Publistar eccependo, tra l’altro,
l’inammissibilità dell’appello e proponendo, in via subordinata, appello
incidentale per contraddittorietà tra motivazione e dispositivo dell’originaria
sentenza.
Entrambe le
parti depositavano memorie illustrative.
All’udienza
del 18.12.2009 l’appello passava in decisione.
DIRITTO
I) - Devono,
preliminarmente, essere dichiarati inammissibili i motivi di appello proposti
avverso il decreto di correzione di errore materiale, non trattandosi di
provvedimento contro il quale sia ammesso ricorso al Consiglio di Stato, ai
sensi dell’art. 28, legge n. 1034/1971.
Peraltro,
sussiste errore materiale, emendabile attraverso la correzione della sentenza,
nell’ipotesi in cui, mentre la motivazione della sentenza conduce chiaramente
all’accoglimento del ricorso, il dispositivo dispone invece il suo rigetto
(cfr. C.S., sez. IV, dec. 26.4.2006 n. 2279).
La procedura
di correzione di errore materiale deve, quindi, essere considerata applicabile
anche nell’ipotesi di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza,
tutte le volte in cui in termini inequivocabili, rilevabili ictu oculi,
essa statuisca in dispositivo in difformità con quanto argomentatamente esposto
nella parte motiva (C.S. sez. VI, dec. 30.7.2009 n. 4801; dec. 22.4.2004 n.
2357).
Quanto alle
censure riguardanti la sentenza, esse sono infondate.
In merito
all’indicazione della data in cui la decisione è stata pronunciata, occorre
precisare che la sentenza reca la data della camera di consiglio del 20
novembre 1996, di per sé sufficiente, anche in presenza dell’ulteriore
indicazione “ e successivamente il luglio 1997”.
Va,
peraltro, rilevato che l’omessa indicazione della data in cui la decisione è
stata pronunciata, prescritta dall’art. 65 n. 6, r.d. 17 agosto 1907 n. 642,
non è espressamente contemplata come causa di nullità e, pertanto, non produce
alcuna conseguenza, essendo applicabile anche al processo amministrativo
(argomentando ex art. 17, ultimo comma, reg. proc. n. 642/1907, cit.)
l’art. 156, c.p.c., secondo il quale non può essere pronunciata la nullità per
inosservanza di forme di alcun atto del processo se la nullità non è comminata
dalla legge (C.S., sez. V, dec. 22.9.1987 n. 573).
Anche il
motivo di nullità riferito all’illeggibilità della sottoscrizione da parte del
presidente e dell’estensore è da disattendere.
In disparte
la considerazione che le sentenze possono essere considerate insanabilmente
viziate solo per la totale mancanza di sottoscrizione da parte del presidente e
dell’estensore, l’illeggibilità o - nella specie - la scarsa leggibilità delle
(nella specie di una) sottoscrizione non determina di per sé l’invalidità
dell’atto processuale quando sia consentita, a causa dell’indicazione
dattiloscritta del nome dei giudici ed, inoltre, dell’indicazione nell’epigrafe
delle generalità del ......