COGNOME MATERNO IN ASSENZA DI DISCENDENTI
DINIEGO DI CONCESSIONE DELLA CITTADINANZA ITALIANA
CONSIGLIO DI STATO, SEZ
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. I – parere 17 marzo
2004 n. 515 - Pres. Ruoppolo, Est. Marra - Oggetto: Ministero
dell’Interno. Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica presentato
dai signori Vitantonio Ciraci e Gambroni Paola avverso diniego di autorizzazione
di cambiamento del cognome - (esprime parere che il ricorso vada accolto).
PREMESSO
Con domanda presentata il 19 marzo 2001 i
coniugi Vitantonio Ciraci e Paola Gambroni chiedevano il cambiamento del
cognome del proprio figlio minore, sostituendo quello materno al cognome del
padre; la domanda era motivata con la riconoscenza maturata nei confronti del
nonno materno per l’apporto materiale e morale dato alla crescita e alla
educazione del nipote e con il desiderio di evitare l’estinzione per quel ramo
della famiglia del cognome Gambroni.
La suddetta richiesta veniva respinta con
decreto del ministro dell’Interno in data 26 febbraio 2002, ai sensi degli
articoli 84 e ss del Dpr 396/00 recante il regolamento per la revisione e la
semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, con la motivazione che le
ragioni esposte dai richiedenti non sono di rilevanza tale da giustificare
un’eccezione al principio di immutabilità del cognome che compete per legge;
inoltre un eventuale accoglimento, oltre a non corrisponderà ad un apprezzabile
interesse per il minore, creerebbe disagi e confusione della identificazione
del suo status di figlio legittimo, che per il nostro ordinamento comporta
l’acquisizione del cognome paterno.
Avverso il suddetto provvedimento, notificato
il 13 maggio 2002, i coniugi signori Vitantonio Ciraci e Paola Gambroni hanno
presentato il 29 agosto 2002 il ricorso straordinario in oggetto, deducendone
l’illegittimità per violazione di legge e per eccesso di potere sotto i profili
della disparità di trattamento, violazione di disposizioni interne e
travisamento dei fatti.
Sostengono i ricorrenti che sia gli articoli
153 e ss del Rd 1238/39 sia gli articoli 84 e ss del Dpr 396/00, disponendo che
chiunque vuole cambiare il cognome deve farne richiesta al Ministro e
prevedendo i casi in cui non può essere concessa l’attribuzione di determinati
cognomi, riconoscono un ampio spazio alla volontà della persona interessata;
inoltre i motivi addotti per non accogliere nel caso specifico la richiesta dei
ricorrenti sono o incostituzionali, attribuendo al solo cognome paterno la
funzione di identificare lo status di figlio legittimo o palesemente
inconsistenti, non potendosi creare disagi o confusioni nell’identificazione
dello status di un bambino che non ha ancora compiuto cinque anni e non ha
pertanto una vita di relazione tale da collegare la sua posizione nella società
all’attuale cognome; essi comportano altresì una evidente disparità di
trattamento rispetto ai casi in cui l’estinzione del cognome materno è stata
riconosciuta come tipica ipotesi suscettibile di essere presa in considerazione
ai fini del cambiamento del cognome (tanto che una circolare della Procura
generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano, emanata allorché
la competenza era attribuita al Presidente della Repubblica su proposta del
ministro di Grazia e giustizia, ne disciplinava espressamente le modalità di
documentazione), e violano i criteri che sono alla base della ripartizione di
competenza tra ministro dell’Interno e Prefetto riportati nella circolare
ministeriale del 26 marzo 2001 che, attribuendo al Prefetto la competenza ad
adottare i decreti di concessione di cambiamento del cognome perché ridicolo o
vergognoso o rivelatore di origine naturale e al Ministro la facoltà di
provvedere in ogni altro caso, riconoscono implicitamente che vi è un’ampia
disponibilità dello Stato ad accogliere domande di cambiamento del cognome per
qualsiasi motivo in assenza di motivate preclusioni, non configurabili nel caso
specifico.
L’amministrazione riferente non ritiene le
suesposte considerazioni meritevoli di accoglimento, ribadendo la correttezza
delle motivazioni poste a base del diniego di concessione ed aggiungendo che la
finalità di evitare l’estinzione del cognome materno può essere conseguita
attraverso la mera aggiunta di esso a quello paterno.
CONSIDERATO
Il ricorso è fondato.
Il sistema normativo delineato dal Dpr 396/00
analogamente del resto a quanto previsto al riguardo dal Rd 1238/39, distingue
nettamente tra due fattispecie di cambiamento del cognome, quella che viene
concessa con decreto del Prefetto ai sensi degli articoli 89 e 92 del Dpr
396/00 e l’altra, di competenza del ministro dell’Interno, disciplinata dagli
articoli da 84 a 88 dello stesso decreto.
Solo per la prima fattispecie, l’articolo 89,
comma 1, subordina l’accoglimento della domanda alla esistenza di specifici
presupposti, quali il carattere ridicolo o vergognoso del cognome ovvero la
circostanza che lo stesso riveli l’origine naturale del suo titolare. Qualora
invece la richiesta sia diretta al Ministro, la previsione dell’articolo 84 è
affatto generica, facendo esclusivo riferimento alla volontà del richiedente di
cambiare il proprio cognome.
Tale constatazione non è peraltro sufficiente
a configurare in tal caso l’esistenza di un diritto soggettivo incondizionato
ad ottenere la modifica del proprio cognome tutte le volte in cui non
sussistono le specifiche preclusioni previste dal comma 3 dell’articolo 89,
evidentemente applicabili ad entrambe le fattispecie in questione. Ad escludere
una conclusione siffatta è sufficiente osservare che lo stesso articolo 84
richiede che il presentatore della domanda ne esponga le ragioni e che il
successivo articolo 86 subordina la prosecuzione dell’iter procedimentale ad un
decreto di autorizzazione della pubblicazione della domanda, che può essere
adottato solo qualora la richiesta appaia meritevole di considerazione.
Non può per altro revocarsi in dubbio che da
siffatta statuizione normativa deve desumersi un ampio riconoscimento della
facoltà di cambiare il proprio cognome, a fronte del quale la sfera di
discrezionalità riservata alla Pa deve intendersi circoscritta alla
individuazione di puntuali ragioni di pubblico interesse che giustifichino il
sacrificio dell’interesse privato del soggetto al cambiamento del proprio
cognome, ritenuto anch’esso meritevole di tutela dell’ordinamento. Nel caso
specifico il provvedimento impugnato non adduce a giustificazione del diniego
alcuna apprezzabile lesione del pubblico interesse alla stabilità e certezza
degli elementi identificativi di una persona e del suo status giuridico
e sociale: da un lato, infatti, non può ritenersi irrilevante l’intento di
assicurare la perpetuazione del cognome di un ramo familiare destinato altrimenti
ad estinguersi e la sua fruizione per ragioni affettive e per il significato
che quel cognome eventualmente rivesta nella comunità sociale in cui il
richiedente è inserito; dall’altro l’età del soggetto beneficiario del
cambiamento del cognome è tale da escludere ragionevolmente motivi attinenti
alla sicurezza pubblica o l’eventualità di apprezzabili confusioni nella
imputazione di significativi rapporti sociali, che non sono comunque esposti
nella motivazione del diniego opposto. Quanto poi all’apprezzamento
dell’interesse del bambino al cambiamento del proprio cognome, non può la Pa
sostituirsi alla concorde valutazione dei genitori esercenti la potestà
parentale ai sensi dell’articolo 316 Cc.
L’unica puntuale e argomentata ragione
ostativa ricavabile dalla motivazione del provvedimento impugnato si risolve
dunque nell’affermazione che «la funzione del cognome non si esaurisce nella
mera individuazione della persona ma identifica altresì la stessa come
appartenente ad una determinata ascendenza, la quale per i figli legittimi è
quella paterna»
La Sezione non ignora che tale affermazione si
basa su un precedente giurisprudenziale, per altro rimasto isolato, la sentenza
746/97 del Tar Friuli Venezia-Giulia con la quale è stato riconosciuto
legittimo il rigetto dell’istanza del figlio legittimo di sostituzione del
cognome paterno con quello materno in considerazione del fatto che, attraverso
il suddetto cambiamento la condizione del richiedente apparirebbe quella di
figlio naturale della sola madre, e quindi deteriore, con violazione altresì
dei valori di cui all’articolo 29, comma 2, della Costituzione. Trattasi per
altro di affermazioni che la Sezione non ritiene di poter condividere, anche
prescindendo dalle riserve puntualmente espresse nella nota alla suddetta
sentenza (cfr. Giustizia civile, 1998, p. 1752) sulla permanenza di una
condizione deteriore del figlio naturale riconosciuto dopo la riforma del
diritto di famiglia operata dalla legge 151/75.
È bensì vero infatti che nell’ordinamento
vigente è tuttora previsto che i figli legittimi acquistino a titolo originario
il solo cognome paterno e che la Corte costituzionale ha escluso
l’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale delle
disposizioni dell’ordinamento dello stato civile nella parte in cui non
prevedono il diritto della madre di trasmettere il proprio cognome ai figli
legittimi. Ma da tale normativa non può inferirsi che il mantenimento del
cognome paterno costituisca l’unica possibilità di identificazione dello status
di figlio legittimo, che come è noto si prova, ai sensi dell’articolo 236 del
C.c., con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile; né può
affermarsi, d’altra parte, che il figlio legittimo abbia la sola ascendenza
paterna e non possa quella materna assumere alcuna rilevanza, pur nel pieno
rispetto dei valori della famiglia fondata sul matrimonio tutelati
dall’articolo 29 della Costituzione, che tra l’altro sancisce altresì che il
matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
In conclusione, nell’ordinamento vigente non
sussiste una assoluta irrinunciabilità al diritto, acquisito a seguito di
nascita in costanza di matrimonio, al cognome paterno, proprio perché è
prevista la possibilità di cambiare tale cognome, né d’altra parte la
sostituzione di tale cognome con quello materno rientra tra i divieti
espressamente previsti dall’articolo 89, comma 3, del Dpr 396/00; pertanto tale
sostituzione non può essere negata con la sola motivazione di una asserita
compromissione dello status di figlio legittimo e dei valori della famiglia
fondata sul matrimonio.
P.Q.M.
Esprime il parere che il ricorso debba essere
accolto.
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