COMPENSI AMMINISTRATORI SOCIETA' PARTECIPATE
REVOCA AGGIUDICAZIONE GARA
OGGETTO: legge finanziaria per il 2007 (l
OGGETTO: legge finanziaria per il 2007 (l.n. 296 del 2006), commi da
725 e seguenti. Disposizioni in tema di compensi, numero e nomina degli
amministratori di società partecipate da enti locali.
I – INTRODUZIONE
La legge finanziaria 27 dicembre 2006, n. 296, ha introdotto, ai commi 725 e
seguenti, alcune disposizioni in tema di compensi spettanti agli esponenti
delle società al cui capitale partecipano (interamente o in parte) comuni e/o
province.
Con distinta previsione inserita al successivo comma 729 del medesimo articolo
la legge finanziaria ha dettato alcune norme in tema di numero massimo dei
componenti dei consigli di amministrazione di tali società, quand’anche la
partecipazione dell’ente locale sia indiretta.
Infine, il comma 734 ha introdotto una causa ostativa alla nomina per la carica
di amministratore di un qualsiasi ente a totale o parziale capitale pubblico,
in relazione ai risultati di analoghi incarichi svolti in precedenza.
L’intervento legislativo - finalizzato al contenimento dei costi delle attività
riconducibili alla sfera pubblica, nonché all’incentivazione di gestioni
positive delle società pubbliche - delinea una disciplina di cornice della
composizione e dei compensi degli amministratori delle società partecipate da
enti locali, fornendo indicazioni quanto alla struttura e al funzionamento di
queste società.
Al fine di chiarire alcuni dubbi sollevati in merito all’interpretazione delle
richiamate disposizioni si ritiene di poter offrire un utile contributo
esplicativo.
II - COMPENSI AGLI AMMINISTRATORI
Per quanto attiene alla disciplina del compenso degli amministratori, la legge
finanziaria opera una distinzione tra società a totale partecipazione di comuni
o province (comma 725), società a totale partecipazione pubblica di una pluralità
di enti locali (comma 726) e società a partecipazione mista di enti locali e
altri soggetti pubblici e privati (comma 728).
1. Compensi degli amministratori di società a totale partecipazione di
comuni o province.
Nella prima fattispecie viene in rilievo il caso delle società interamente
possedute da un solo ente locale (comune o provincia) e la norma prevede che al
presidente e ai componenti del consiglio d’amministrazione non può essere
riconosciuto un compenso superiore, per il presidente, all’80 per cento e, per
i componenti del consiglio di amministrazione, al 70 per cento delle indennità
spettanti, rispettivamente, al sindaco (in caso di partecipazione di un comune)
e al presidente della provincia (in caso di partecipazione, appunto, di una provincia),
ai sensi dell’art. 82 del d.lgs. 267/00.
La norma fa salva la facoltà, per il socio pubblico, di prevedere indennità di
risultato in favore dei propri amministratori nel solo caso di produzione di
utili e in misura ragionevole e proporzionata.
2. Compensi degli amministratori di società a totale partecipazione pubblica
di una pluralità di enti locali.
Per il caso di società a totale partecipazione pubblica, ma detenuta da due o
più enti locali, la base di calcolo per la percentuale di cui sopra è
costituita dall’indennità spettante al rappresentante legale (sindaco o
presidente della provincia) del socio pubblico con la maggiore quota di
partecipazione ovvero, soltanto in caso di parità di quote, a quella di
maggiore importo tra le indennità spettanti ai rappresentanti dei soci
pubblici.
In altri termini, al presidente e ai componenti del consiglio d’amministrazione
possono essere riconosciuti, rispettivamente, non più dell’80 e del 70 per
cento dell’indennità spettante al rappresentante legale del socio pubblico con
la maggiore quota di partecipazione ovvero, in caso di parità di quote, di
quella di maggiore importo tra le indennità spettanti ai rappresentanti dei
soci pubblici.
3. Compensi degli amministratori di società a partecipazione mista.
In presenza di una società mista (ossia, una società al cui capitale sociale
partecipino, oltre agli enti locali, anche altri soci, pubblici o privati), il
legislatore ha introdotto un’ulteriore distinzione tra:
i) società a capitale pubblico maggioritario;
ii) società a capitale pubblico minoritario.
Per le prime, fermi restando i criteri generali descritti ai punti 1 e 2, è
possibile incrementare le percentuali previste dal comma 725 (80 e 70 per cento
delle indennità spettanti ai rappresentanti dei soci pubblici) in ragione di un
punto percentuale ogni cinque punti percentuali di partecipazione di soggetti
diversi dagli enti locali.
Per le seconde il meccanismo premiale è raddoppiato (due punti percentuali di
incremento ogni cinque punti percentuali di partecipazione di soggetti diversi
dagli enti locali).
4. Ambito di applicazione dei commi 725, 726 e 728.
L’ambito di applicazione delle disposizioni in esame deve estendersi anche alle
società partecipate “indirettamente” dall’ente locale: una siffatta
interpretazione è imposta dalla ratio delle disposizioni, tendente alla
riduzione dei costi dell’attività di soggetti riferibili ai pubblici poteri
locali e in contrario non appare potersi utilmente argomentare con la diretta
formulazione del comma 729, che espressamente fa menzione delle partecipazioni
indirette, in considerazione dell’impossibilità di ricorrere a fini
interpretativi a diverse norme del medesimo articolo 1 della legge finanziaria,
atteso il carattere estremamente vario e non omogeneo delle disposizioni che ne
fanno parte.
Può ritenersi che la partecipazione rilevante ai fini che qui interessano sia
quella che consente all’ente locale di esercitare un’influenza dominante sulla
società partecipata, per cui appare praticabile utilizzare, quale parametro di
riferimento, il concetto di controllo descritto dall’art. 2359, commi 1 e 2,
del codice civile.
Quanto alla portata soggettiva delle disposizioni va evidenziato che, con la
riforma del diritto societario operata con il d.lgs. n. 37 del 2004, le società
per azioni possono scegliere fra diversi assetti di governance: infatti, oltre
al sistema c.d. “tradizionale”, caratterizzato da un amministratore unico
ovvero da un consiglio d’amministrazione ed eventuale comitato esecutivo (o
amministratori delegati), e dal collegio sindacale, si prevede la possibilità
di fare ricorso al sistema cd. “dualistico”, basato su un consiglio di
gestione, cui compete la gestione dell’impresa, e un consiglio di sorveglianza,
cui spetta il controllo sulla gestione, esteso alla nomina degli amministratori
e all’approvazione del bilancio, ovvero al sistema cd. “monistico”, nel quale
il controllo sulla gestione è affidato ad un comitato nominato di regola dal
consiglio di amministrazione e di cui fanno parte amministratori privi di
deleghe operative.
Ciò premesso, seguendo un’interpretazione sistematica, si ritiene, pur nel
silenzio della legge finanziaria, che le norme in discussione si applichino
anche ai componenti il consiglio di gestione, in considerazione della sostanziale
identità della natura delle funzioni svolte rispetto ai componenti il consiglio
di amministrazione delle società per azioni “tradizionali”. In tal senso,
soccorre, oltre che il criterio di interpretazione logico e quello desunto
dalla voluntas legis, anche la possibilità di fare ricorso all’interpretazione
analogica. Non può, peraltro, riconoscersi alle norme in esame carattere
eccezionale, atteso che le stesse non sono dettate in funzione della
regolamentazione di determinate situazioni contingenti, né derogano a principi
cardine dell’ordinamento giuridico, ma costituiscono norme speciali destinate a
regolare il funzionamento delle società pubbliche partecipate da enti locali.
A nulla appare invero rilevare la circostanza che le norme facciano riferimento
ai componenti del consiglio di amministrazione e non già - come, invece, ai
successivi commi 734 e 735 - agli amministratori, giacché i termini, secondo
una loro accezione sostanziale e non meramente letterale, devono considerarsi
sinonimi. D’altra parte lo stesso comma 735 utilizza chiaramente il termine
amministratori per indicare i componenti del consiglio di amministrazione delle
società di cui ai commi da 725 a 734.
Resta, peraltro, evidente che il ricorso al sistema cd. “dualistico” presenta
carattere eccezionale, essendo previsto per agevolare il governo societario in
presenza di compagini sociali diffuse e laddove in maggior misura si realizza
la dissociazione tra proprietà dei soci e potere degli organi sociali.
Le norme della legge finanziaria sono, inoltre, coerenti con le previsioni del
codice civile in tema di individuazione dei soggetti titolari del potere di
determinazione della retribuzione degli amministratori della società, in quanto
si limitano, in piena coerenza con i comuni e condivisi intenti di contenere la
spesa pubblica, a fissare un tetto massimo oltre il quale l’importo non può
essere individuato, mantenendo intatte le prerogative degli organi sociali
sull’entità del compenso.
Infine, il tetto ai compensi non può essere superato per effetto del
riconoscimento di remunerazioni attribuite ad alcuni amministratori in
relazione all’investitura di particolare cariche previste statutariamente,
avuto riguardo alla perentorietà del comma 725, che ammette il superamento solo
per effetto di indennità di risultato e solo per il caso di produzione di
utili, purché sia determinato in misura ragionevole e proporzionata, tenuto
conto della onnicomprensività del compenso preso in considerazione dalla citata
disposizione.
III - NUMERO DEGLI AMMINISTRATORI
Con riferimento al numero massimo di amministratori delle società partecipate
da enti locali, la legge finanziaria ha distinto tra società a totale
partecipazione degli enti locali, anche “indiretta”, e, cioè, per il tramite di
altri enti interamente partecipati o detenuti, e società “miste”, ossia al cui
capitale partecipino anche altri soggetti, privati o pubblici, oltre agli enti
locali.
Nel primo caso, il numero totale di componenti del consiglio di amministrazione
non potrà essere superiore a tre ovvero a cinque nell’ipotesi in cui il
capitale sociale, interamente versato, sia superiore all’importo determinato
con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, di concerto con il
ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Città.
Nel secondo caso, il numero massimo dei componenti designabili dai soci
pubblici locali, ivi comprese anche le Regioni, non può essere superiore a
cinque.
Va puntualizzato che l’ambito di applicazione delle disposizioni in materia di
numero complessivo dei componenti del consiglio di amministrazione appare
doversi circoscrivere, atteso il tenore letterale del comma 729, alle sole
società partecipate da enti locali, per tali intendendosi gli enti
territoriali, con esclusione di altri soggetti.
IV - CAUSE OSTATIVE ALLA NOMINA DEGLI AMMINISTRATORI
Con riferimento alla disposizione inserita nel comma 734, va segnalato che
l’ambito di applicazione della stessa appare doversi estendere - a differenza
di quello del comma 729 - a qualsiasi soggetto pubblico, con esclusione
unicamente degli enti territoriali, in ragione della funzione politica degli
stessi, attesa l’ampia formulazione della norma.
La norma sembra, dunque, riferirsi sia alle società a totale o parziale
capitale pubblico, sia agli enti e alle aziende pubbliche.
Conseguentemente, il concetto di perdita ivi contemplato si atteggerà
diversamente in relazione al tipo di contabilità applicabile all’ente collettivo,
in quanto nella contabilità privatistica, cui sono soggette le società di
capitali, anche con partecipazione pubblica, la perdita d’esercizio è
identificabile nel risultato negativo del conto economico derivante dalla
prevalenza dei costi sui ricavi, mentre nella contabilità finanziaria, propria
della maggior parte degli enti pubblici, la stessa deve riferirsi al disavanzo
di competenza non coperto da un sufficiente avanzo di amministrazione.
Vi è da considerare, peraltro, che, assumendo rilevanza - come si dirà meglio
oltre - anche gli esercizi precedenti l’entrata in vigore della norma, appare
necessaria, in relazione a questi, un’interpretazione del concetto di perdita
compatibile con il principio dell’affidamento, a tutela delle legittime aspettative
di quegli amministratori che hanno assunto l’incarico quando il quadro
giuridico di riferimento non prevedeva per la rinnovazione del mandato il
requisito di professionalità ora in questione. Con riguardo a questi esercizi,
anteriori all’entrata in vigore della norma, deve considerarsi rilevante non
qualunque perdita oggettivamente tale, ma soltanto la perdita che esprime un
risultato di gestione negativo rispetto al concreto e specifico contesto
economico-finanziario nel quale si è manifestata. Pertanto, coerentemente con
la ratio della norma - diretta a disincentivare le “cattive” gestioni delle
società pubbliche - ed in considerazione della necessità di tenere in debito
conto la diversa tipologia di iniziative possibili, l’accertamento della perdita
di esercizio non può prescindere in questi casi da una valutazione che tenga
conto anche delle aspettative di ritorno degli investimenti programmati, per
come precisate nei documenti di pianificazione delle relative attività di
gestione.
Ne consegue che, nelle ipotesi in cui la perdita risulti conforme alla
programmazione gestoria, deve escludersi la ricorrenza dei presupposti del
divieto sancito dalla disposizione in questione. In caso contrario, infatti, si
determinerebbe l’inaccettabile conseguenza per cui, a fronte del conseguimento
degli obiettivi contabili indicati negli atti di pianificazione, gli
amministratori riporterebbero un giudizio negativo sotto il profilo della
professionalità, tale da poter loro precludere, se ripetuto per tre esercizi consecutivi,
il conferimento di ulteriori incarichi di gestione.
Non può, peraltro, negarsi, in via generale, l’applicazione della disposizione
nei casi in cui l’amministratore abbia ereditato una situazione di bilancio
fortemente negativa e l’abbia migliorata, poiché non è sufficiente aver
conseguito un disavanzo inferiore rispetto all’esercizio precedente, ma è
necessario, invece, che il risultato di esercizio sia pari o migliore rispetto
a quello atteso, così come emergente dagli atti di pianificazione dell’attività
gestionale.
Viceversa, qualora nel corso dell’esercizio sociale sopravvenga un onere
imprevisto per fatto regolatorio - e, in quanto tale, indipendente dalle scelte
gestorie perseguite dall’organo amministrativo - la relativa posta passiva non andrebbe
computata, ai fini che qui rilevano, sull’esercizio di riferimento, ma andrebbe
ripartita su più esercizi sociali.
Diversamente, in relazione agli esercizi apertisi contemporaneamente o
successivamente all’entrata in vigore della norma, non ricorrendo un’esigenza
di tutela dell’affidamento, il concetto di perdita va definito nei termini più
assoluti già sopra accennati, vale a dire, nella contabilità privatistica, come
risultato negativo del conto economico derivante dalla prevalenza dei costi sui
ricavi e, nella contabilità finanziaria degli enti pubblici, come disavanzo di
competenza non coperto da un sufficiente avanzo di amministrazione.
Ovviamente, siffatta definizione è destinata a perdere di valore nel momento in
cui una legge successiva dovesse interpretare diversamente il concetto di
perdita di cui al comma 734, nel senso di attribuire rilevanza solo a quei
risultati economico-finanziari che evidenzino un saldo negativo rispetto alle
previsioni indicate nei documenti di pianificazione delle attività gestionali.
V - ENTRATA IN VIGORE DELLA NUOVA DISCIPLINA
L’operatività della nuova disciplina in tema di numero degli amministratori è
subordinata, oltre all’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri di individuazione dell’importo del capitale sociale in funzione del
quale varia il numero massimo degli amministratori delle società a totale
partecipazione degli enti locali, all’adeguamento da parte degli statuti
societari e degli eventuali patti parasociali alla nuova normativa nel termine
di tre mesi dall’emanazione del menzionato decreto.
Inoltre, ai sensi del comma 730, le regioni e le province autonome di Trento e
Bolzano adegueranno la disciplina dei compensi e del numero degli
amministratori delle società da esse partecipate ai principi contenuti nei
commi da 725 a 735.
La legge finanziaria non prevede alcun altra disposizione in ordine ai propri
effetti sulla situazione vigente.
Ciò premesso, deve ritenersi che, per quanto attiene al tetto ai compensi, il
carattere imperativo delle norme impone, in assenza di disposizioni di segno
contrario, la loro immediata applicabilità a far data dal 1 gennaio 2007 e,
conseguentemente, l’automatica limitazione dei compensi degli amministratori in
carica che eccedessero l’importo massimo consentito.
Da ciò consegue che la liquidazione dei compensi eccedenti il perimetro
individuato dalle indicate disposizioni comporta violazione di legge, con ogni
possibile, connessa conseguenza sul piano delle responsabilità......