CONDANNA PENALE: TERMINI DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE
PATROCINIO LEGALE AI DIPENDENTI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.6126/2006
Reg.Dec.
N.4178 Reg.Ric.
ANNO 2005
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da Ministero
dell’interno in persona del Ministro p.t. rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato presso cui è ope legis domiciliato in Roma
via dei Portoghesi 12;
contro
Ceccarini Lorenzo rappresentato e difeso
dall’avv. Filippo Giuseppe Capuzzi presso cui è elettivamente domiciliato in
Roma, via Romeo Romei 23;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio Sezione prima ter
n. 15306/2004 depositata il 9 dicembre del 2004.
Visto il ricorso con i
relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio dell’appellato;
Viste le memorie
prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti
della causa;
Alla pubblica udienza
del 20 dicembre 2005 relatore il Consigliere Luciano Barra Caracciolo.
Uditi l’avv. dello
Stato Melillo e l’avv. Capuzzi;
Ritenuto e considerato
in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
Con la sentenza in
epigrafe il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato da Ceccarini
Lorenzo, agente della Polizia di Stato, avverso il decreto in data 26 novembre
2002, con cui il Capo della Polizia gli aveva inflitto la sanzione disciplinare
della destituzione dal servizio. Rilevava il Tar che la sentenza della Corte di
cassazione che aveva reso definitiva la condanna del ricorrente era stata
comunicata all’Amministrazione il 16 aprile 2002, mentre l’atto di riapertura
del procedimento disciplinare, già sospeso, era avvenuto con la contestazione
degli addebiti notificata il 24 luglio 2002, oltre il termine di 90 giorni
previsto per la riassunzione del procedimento disciplinare dall’art.5, comma 4,
della legge 27 marzo 2001, n.97. Neppure utile, ai fini del rispetto del
termine perentorio in questione, era considerare l’atto di formale
riattivazione del procedimento disciplinare, notificato al ricorrente il 18
luglio 2002, anch’esso a termine ormai scaduto. Ciò perché il tempo per l’avvio
dell’azione disciplinare era dettato a garanzia del dipendente condannato, e la
sua osservanza comporta la notifica e non la mera adozione di un atto rilevante
della procedura.
Appella
l’Amministrazione deducendo che il Tar aveva errato nel ritenere applicabile il
termine di cui all’art.5, comma 4, l.n.97\2001, di soli 90 giorni, applicabile
solo con riferimento ai reati di cui all’art.3 della legge stessa, cioè quelli
previsti dagli artt.314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, e 320 del codice
penale e dall’art.3 della legge 9 dicembre 1941, n.1383. Nell’ipotesi di
sentenza relativa ad altre fattispecie delittuose si applicano infatti i
termini di cui all’art.9 della legge 7 febbraio 1990, n.19, pari a 180 giorni
per la riattivazione del procedimento disciplinare, come affermato dalla
Commissione speciale pubblico impiego del Consiglio di Stato nell’adunanza del
5 novembre 2001, n.497. Il Ceccarini era stato infatti condannato per
violazione della normativa in materia di sostanze stupefacenti e la riapertura
del procedimento con la contestazione degli addebiti notificata il 24 luglio
2002 risultava tempestiva rispetto alla conoscenza della sentenza della Corte
di Cassazione avvenuta il 16 aprile 2002.
Si è costituito il
Ceccarini deducendo la tardività dell’appello perché notificato solo il 6
maggio 2005 a fronte di una notifica della sentenza presso l’Avvocatura dello
Stato avvenuta il 26 gennaio 2005. Nel merito sosteneva l’infondatezza
dell’appello stesso.
DIRITTO
1. Deve respingersi
l’eccezione di tardività dell’appello per essere stato notificato oltre il
termine di 60 giorni decorrenti dalla notifica della sentenza presso
l’Avvocatura generale dello Stato, asseritamente eseguita il 26 gennaio 2005.
Ed infatti il plico risulta spedito per via postale il 22 dicembre 2004, ma
dalla cartolina contenente l’avviso di ricevimento non è attestato
l’espletamento di nessuna delle operazioni previste per l’esecuzione della
consegna, non risultando sbarrata alcuna delle caselle ad esse corrispondenti.
Risulta solo una sottoscrizione illeggibile e l’apposizione di una data a mala
pena identificabile in quella del 26 gennaio 2005, senza che però sia dato di
comprendere a quali operazioni abbia messo capo tale indicazione e quindi se e
in che modalità il plico sia mai stato ricevuto dall’Avvocatura dello Stato. Lo
stesso timbro apposto sulla destra della cartolina è illeggibile e non appare
riferibile alla ricezione da parte di addetti dell’Avvocatura. Non sussiste
dunque la prova dell’esecuzione di una rituale notifica valida ai fini del
termine per l’impugnazione, non risultando a tale scopo idonea quella eseguita
presso il Ministero dell’interno, (pur essa affetta, peraltro, dalle medesime
manchevolezze di attestazione nella relativa cartolina di ricevimento).
2. Nel merito l’appello
è fondato.
Ai fini della
prosecuzione o dell’avvio del procedimento disciplinare nei confronti dei
pubblici dipendenti condannati in sede penale a titolo definitivo, il termine
di 90 giorni di cui all’art. 5, comma 4, della legge 27 marzo 2001, n.97, trova
applicazione solo per le condanne relative ai reati indicati nell’art.3 della
stessa legge (cioè quelli previsti dagli artt.314, primo comma, 317, 318, 319,
319 ter, e 320 del codice penale e dall’art.3 della legge 9 dicembre 1941,
n.1383), dovendosi in tal senso intendere la dizione “sentenza penale
irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti indicati nel comma 1
dell’art.3” contenuta nell’art 5, comma 4, cit., il che costituisce l’unica
logica deduzione ritraibile da tale riferimento.
Negli altri casi di
condanna per ogni diversa fattispecie di reato, non rientrante tra quelle
espressamente nominate dalla norma suddetta, trova invece applicazione l’art.9,
comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n.19, che prevede, per la prosecuzione del procedimento disciplinare
sospeso o per la sua promozione, il diverso termine di 180 giorni decorrenti
dalla data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza
irrevocabile di condanna.
Tale termine,
applicabile al caso di specie (e quindi anche al personale della Polizia di
Stato, arg. ex A.P. n.10 del 27 giugno 2006), ove trattasi di sentenza di
condanna per violazione di disposizioni in materia di stupefacenti, è stato nel
caso rispettato poiché, avvenuta il 16 aprile 2002 la comunicazione
all’amministrazione della sentenza della Corte di cassazione che ha reso
definitiva la condanna, la contestazione degli addebiti al dipendente è stata
notificata il 24 luglio 2002, pienamente in termine.
3. Riformata sul punto
la sentenza di primo grado, e respinto perciò il relativo motivo di ricorso,
rimangono da esaminare i restanti motivi di impugnazione contenuti nello stesso
ricorso al Tar e dichiarati assorbiti nella sentenza appellata.
Con il primo di essi si
era dedotto che il Consiglio di disciplina aveva omesso di pronunciarsi sulla
questione pregiudiziale proposta dal ricorrente in sede di procedimento
disciplinare e attinente proprio all’applicazione dei termini di cui alla legge
n.97 del 2001, violando con ciò l’art.7, lettera a), del DPR 737\81 e
configurando “abuso di potere”.
La deduzione è
infondata poiché l’omessa pronuncia su questioni preliminari in sede di
procedimento disciplinare opera alla stessa stregua di un rigetto per implicito
della questione preliminare stessa. Pertanto, ogni deduzione relativa si
converte in potenziale motivo di impugnazione giurisdizionale del provvedimento
finale, onde non può inficiare il provvedimento contenzioso in questione al di
fuori di una riproposizione in sede giurisdizionale. Nel caso in esame,
l’eccezione relativa ai termini è stata infatti riproposta come autonomo motivo
di ricorso in primo grado, sicché il motivo in esame segue la......