CORTE DEI CONTI: SPESE LEGALI PER LA DIFESA
Ancora sul credito d'imposta relativo agli utili di società di gestione di servizi pubblici
CORTE DEI CONTI, SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONE LOMBARDIA – Sentenza 8
giugno 2002 n
CORTE DEI CONTI,
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONE LOMBARDIA – Sentenza 8 giugno 2002 n. 1255 – Pres. ed Est.
Giampaolino – P.G. c. Formentini ed altro (avv.ti Rusconi ed Antonelli).
FATTO
Con atto del 22 maggio
2001 la Procura Generale presso questa Corte ha convenuto in giudizio i Sigg.ri
Formentini Marco e Maggi Adriano chiedendo che gli stessi fossero condannati al
pagamento, in favore del Comune di Milano, della somma di L.56.668.000,
ripartita nella misura di due terzi per il Formentini e di un terzo per il
Maggi, oltre a rivalutazione monetaria, interessi e spese di giudizio.
Nel suo atto di citazione
la Procura regionale esponeva che, con atto del 22.8.1996, trasmesso ad essa
Procura, il sindacato di base per il coordinamento della polizia municipale di
Milano aveva segnalato la vicenda relativa a due distinti incarichi di
consulenza, commissionati dal Comune di Milano e finalizzati alla
riorganizzazione del funzionamento del corpo di polizia municipale di Milano,
mentre, con nota del 17.2.1999 erano stati successivamente trasmessi gli atti
sottoscritti dal Comune di Milano con la Soc. "T.c. Team consulting
Ag." e con il Generale Nardone.
Riteneva in proposito la
procura regionale che dall’esame degli atti trasmessi si evidenziava che la
seconda consulenza, quella stipulata con il Generale Nardone, appariva
meramente riepilogativa della prima e comunque non conforme ai principi di
buona e corretta amministrazione.
Esponeva, infatti, la
Procura regionale che, con delibera 5039/95 della Giunta comunale, era stato
conferito un incarico di studio alla società innanzi nominata per
l’elaborazione di un piano di intervento volto a riorganizzare ed ottimizzare
il funzionamento del corpo della polizia comunale di Milano.
Il relativo disciplinare
di incarico prevedeva un programma da realizzarsi in due fasi, la prima,
riguardante la raccolta dei dati ed informazioni relative alle mansioni
assegnate al corpo; alle risorse umane; alla struttura organizzativa; ai
livelli di comunicazione e al rapporto con le altre forze dell’ordine; la
seconda, relativa alla identificazione di eventuali carenze nel funzionamento
del corpo e all’elaborazione di un piano di intervento con la compilazione del
rapporto finale.
Successivamente, però, a
seguito di una relazione del comandante del corpo di polizia municipale, era
stato conferito dal Sindaco un incarico professionale al Generale Francesco
Nardone, il quale prevedeva – sul presupposto che il Sindaco avesse la
necessità di meglio approfondire le tematiche riguardanti gli interventi
organizzativi da realizzare nonché di inserire all’interno del corpo di polizia
un proprio referente diretto – che il Generale fosse interlocutore diretto del
Sindaco per l’individuazione delle più idonee modalità attuative dei progetti
organizzativi già predisposti e in itinere; la formulazione e l’attuazione di
proposte volte a migliorare l’efficacia e l’efficienza del corpo di polizia
municipale e la sua immagine; la verifica dei risultati conseguiti nel breve
periodo con predisposizione di relazioni in merito ai risultati conseguiti.
Orbene, riteneva la
Procura regionale, che, dalla descrizione dell’oggetto delle consulenze, si
evinceva chiaramente come il secondo incarico fosse sostanzialmente una
duplicazione del primo e, in quanto tale, non conforme a legge.
Da qui, secondo la Procura
regionale, il danno erariale prodotto ammontante a L.56.668.000, oltre agli
interessi e pari al totale delle somme liquidate al Generale Nardone.
In proposito, nella parte
in diritto, la Procura regionale, rifacendosi a talune considerazioni generali
in ordine ai principi che devono regolare, per costante giurisprudenza, anche
di questa Corte, l’attribuzione, da parte di un ente locale, di incarichi di
consulenze esterne, ricordava come fosse pacificamente riconosciuto che le
amministrazioni e gli enti pubblici devono costantemente uniformare i propri
comportamenti a criteri di legalità, efficienza ed imparzialità, dei quali, era
corollario il principio secondo cui essi, per l’assolvimento di compiti
istituzionali, devono prioritariamente avvalersi delle proprie strutture
organizzative e del personale che di esse fa parte.
Una tale regola –
soggiungeva la Procura regionale – si posava sul più generale principio
costituzionale del buon andamento e sulla necessità di perseguire l’economicità
di ogni spesa pubblica, principio affermato, in termini generali, quale limite
al potere discrezionale, in precipue norme di rango costituzionale – art. 97 –
e di legge ordinaria – art. 380 del D.P.R. 10.1.1957 n. 3 e art. 51, c. 7, legge
142/90.
Nella specie, invero,
affermava la Procura generale, dall’esame della relazione dell’attività svolta
dal Generale Tardone, si poteva notare, come,in realtà, questo consulente
avesse svolto non tanto un’attività di consulenza quanto di comando, ingerendosi
nella gestione operativa del corpo municipale.
Il giudizio era chiamato
all’udienza del 7 novembre 2001, nel corso della quale, dopo la relazione del
magistrato relatore, Presidente Luigi Giampaolino, le parti hanno concluso come
da verbale in atti.
In particolare, con
riferimento alle singole posizioni dei convenuti, la procura regionale riteneva
che non vi fosse dubbio che la responsabilità maggiore ricadesse sull’allora
Sindaco Formentini mentre di più basso profilo fosse la posizione del Maggi donde
la ripartizione del danno erariale tra i due soggetti nella misura dei due
terzi e di un terzo.
Si sono costituiti in
giudizio l’avvocato Andrea Penati per conto del dott. Adriano Maggi e gli
avvocati Rusconi e Antonelli nell’interesse di Marco Formentini e, all’odierna
udienza, dopo la relazione del presidente relatore, l’avv. Penati, in via
preliminare, ha chiesto l’integrazione del contraddittorio e, quindi, le difese
hanno illustrato le loro memorie. Parimenti il Procuratore regionale ha
illustrato il suo atto introduttivo del giudizio ed ha quindi controdedotto
alle eccezioni delle parti.
DIRITTO
1. Il Collegio ritiene
che, nella presente fattispecie, occorre anzitutto affermare, in via
preliminare, che le pubbliche amministrazioni possono ricorrere ad esperti o a
consulenze esterne solo qualora non sia possibile rinvenire, nell'ambito dei
propri apparati, professionalità ed esperienze che possano dare contributi di
idee, suggerimenti e proposte di cui si avverte la necessità.
Più volte la giurisprudenza
della Corte dei Conti(cfr. Sez. Giurisd. Abruzzo 19 nov. 1997, n. 300; Sez.
Giurisd. Emilia Romagna 15 ott. 1996, n. 612; Sez. Giurisd. Veneto 4 dicembre
1996, n. 471; Sez. Giurisd. Sicilia 6 settembre 1995, n. 302) ha avuto modo di
affermare l'anzidetto principio ed esso va ribadito anche per il caso che qui
ne occupa.
Inoltre, va del pari
preliminarmente affermato che non possono essere immessi nell'organizzazione
dell'ente, senza i titoli di volta in volta individuati dagli specifici
ordinamenti, soggetti privati estranei a detti apparati con il compito di
svolgere funzioni direttamente rapportabili al pubblico apparato.
Anche questo è un
principio basilare della pubblica amministrazione, derivante dai principi, di
rango costituzionale, anzitutto, della legalità, del buon andamento e
dell'imparzialità e rinvenibile, quindi, nelle norme che di detti pubblici
apparati ne configurano l'ordinamento.
2. E' dall’affermazione
dei due principi anzidetti che, come si è già detto, occorre prendere le mosse
per verificare la legittimità e, se del caso, la liceità dei comportamenti
ascritti, nel presente giudizio, ai due convenuti.
Agli stessi, invero, a
diverso titolo, si imputa il conferimento, ad un soggetto privato, di una
consulenza per l'organizzazione di un delicato apparato dell'importante
capoluogo della regione e l'immissione, quindi, dello stesso soggetto privato
nell'organizzazione fattuale del corpo dei vigili urbani di Milano con
l'espletamento, altresì, da parte dello stesso privato, di atti e funzioni
rapportabili al corpo.
Tali fatti vengono
imputati, come si è detto, al Sindaco dell'epoca ed al vice comandante del
Corpo dei vigili urbani.
Specie con riguardo a
quest'ultimo, è stata fatta valere l'infondatezza della domanda, dal momento
che non si sarebbe potuto ad esso rapportare un'attività che non rientrava
nelle sue competenze ma ascrivibile, invece, alle attribuzioni di organi
ausiliari del sindaco.
Stà di fatto, però, che la
proposta, sia della consulenza, sia del peculiare accorgimento organizzativo,
sono partite proprio dal convenuto Maggi, il che fa venir meno ogni
plausibilità della detta eccezione di difetto di legittimazione passiva,
difetto che non si pone con riguardo alla figura del sindaco, anche se profili
di difetto di imputabilità, con riguardo ai compiti del sindaco, vengono fatti
valere, nel merito, con riguardo allo stesso.
E, nel merito, invero, i
fatti, nella loro oggettiva antigiuridicità, per i principi innanzi
evidenziati, devono ritenersi sussistenti.
Non v'è dubbio, infatti,
che è stata conferita una consulenza a soggetto privato, quando, per materia
analoga, ed a seguito della stessa esigenza, già era stata conferita una
consulenza ad una società svizzera esperta del settore.
Come pure non v'è dubbio
che il privato è stato immesso sine titulo nell’organizzazione amministrativa e
gli sono state consentite attività rapportabili all'esplicazione di pubbliche
funzioni.
Entrambi gli episodi, come
innanzi in via generale si è detto, devono ritenersi non ammissibili nel
corretto concretizzarsi di una organizzazione amministrativa pubblica e, nella
specie, di quella del Comune di Milano e nello svolgimento delle connesse
pubbliche attività.
3. Tuttavia, la Corte non
può ignorare la particolare situazione che in quegli anni si era venuta a
creare con riguardo al Corpo dei vigili urbani di Milano, ed il ricorso, sia
prima che dopo gli episodi contestati, a fattispecie uguali.
L'eccezionalità della
situazione risulta per tabulas ed è stata incontroversa tra le parti.
Il corpo dei vigili urbani
di Milano era stato interessato da varie vicende giudiziarie che avevano vista
l’incriminazione di agenti e funzionari e aveva perso, a seguito di talune
vicende penali aventi risonanza anche nazionale, il suo comandante. Un esteso
clima di sfiducia si era diffuso nel corpo, mentre molto elevata, e non sempre
proporzionata, era la conflittualità sindacale.
La successione di vertici,
quasi tutti estranei al corpo e di estrazione militare, fu la dimostrazione di
un dissesto organizzativo ed ambientale, al punto di rottura. È stata infatti
documentata anche l’ostilità e la contrapposizione tra la struttura e gli
organi amministrativi e politici della città.
Una situazione
amministrativa ed organizzativa, pertanto, complessa e difficoltosa protattasi
peraltro per anni, pur nel succedersi e nel mutare delle dirigenze
amministrative e politiche.
La Corte, di conseguenza,
ritiene che si versi in una situazione che,per la sua oggettiva difficoltà
quanto meno sotto l'aspetto dell'elemento soggettivo, e di certo con riguardo
al requisito della colpa grave, fa venir meno il requisito della colpevolezza,
e non consente, pertanto, la condanna dei convenuti nei sensi dalla Procura
generale richiesto.
4. Non si può, tuttavia,
non rilevare l'intrinseca illegittimità della situazione posta in essere e la
dubbia proficuità delle spese fatte sopportare alla pubblica amministrazione.
Ed è per questi motivi che
la Corte, pur mandando assolti i convenuti, ritiene che ad essi non possa
applicarsi la disposizione di cui al comma 2 bis dell'articolo 1 della legge 14
gennaio 1994, n. 20, come modificato dall’articolo 3 del decreto legge 23
ottobre 1996, n. 543, convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639 e che, di
conseguenza, le spese del giudizio, per la parte da essi sostenuta, ed, in
particolare, quelle legali, rimangano a loro carico.
Invero, sarebbe ben grave,
- e la norma richiamata potrebbe dar luogo a profili di illegittimità
costituzionale (negli stessi sensi, Cfr. Sez. Basilicata 26 febbraio 1999, n.
26 che, in proposito, richiamò gli art.24, c. 2; 25, c.1; 28; 97, c. 1; 98, c.
1; 111) - se essa dovesse essere intesa come non abilitante, per la Corte dei
Conti in veste di giudice nel giudizio di responsabilità amministrativa, ad un
potere di compensazione delle spese, nel senso di porre parte di queste ad
effettivo carico delle parti o di talune di esse, anche se non soccombenti.
Questa Sezione ha già
avuto modo di affermare che, con riferimento al giudizio innanzi alla Corte dei
Conti, l’aspetto della imputazione dell’onere delle spese di giudizio ha
assunto una prospettiva del tutto peculiare dopo la disposizione di cui
all’art. 3, comma 2 bis, della legge n. 639 del 1996, che prevede il rimborso
delle spese legali ad opera dell’amministrazione di appartenenza, in caso di
proscioglimento del convenuto. (Sez. Giur. Lombardia, 18 maggio 2001, n. 747).
Trattasi di una cognizione
che deriva dalla stretta pertinenza,e, quindi, dall’accessorietà, quale si
evidenzia formalmente anche dal testo della norma di legge (il già citato comma
2 bis dell’art. 3 della l. n. 339 del 1996), del rapporto giuridico relativo al
rimborso delle spese al rapporto giuridico della sussistenza della
responsabilità amministrativa di cui conosce la Corte dei Conti e che
costituisce l’oggetto principale del giudizio che si svolge innanzi a questa.
E ciò senza volersi
richiamare – come pure si potrebbe – alla peculiare natura dell’Istituto della
Corte dei Conti, il quale anche nell’esercizio delle sue funzioni
giurisdizionali, com’è noto, deve prestare particolare riguardo alla
destinazione delle pubbliche risorse nelle quali, di certo, rientrano le somme,
talvolta di non poca entità, che vengono erogate dagli Enti Pubblici per questa
particolare specie di giudizio.
E’ convincimento della
Sezione, infatti, che l’intervento legislativo carichi il giudicante di un
peculiare potere-dovere di delibare l’aspetto degli oneri process......