COSTITUISCONO DANNO PATRIMONIALE I PREMI " A PIOGGIA" AI DIPENDENTI
Dalle CO.CO.CO al "Lavoro a Progetto"
REPVBBLICA ITALIANA
REPVBBLICA
ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE
composta dei seguenti Magistrati:
Tommaso DE PASCALIS, presidente;
Sergio Maria PISANA, consigliere relatore;
Camillo LONGONI, consigliere;
Antonio D'AVERSA, consigliere;
Augusto SANZI, consigliere;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sull'appello iscritto al n.12833 del registro di segreteria, proposto da C. C.,
R. D., N. M. e A. R., rappresentati e difesi dall'avv. Donato PENNETTA, con
domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Stefano Gattamelata in Roma, al n.
22 della via di Monte Fiore, avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale
della Corte dei conti per la regione Campania n. 50/2000 depositata il 26
giugno 2000.
Visti gli atti e documenti di causa;
Uditi, nella pubblica udienza del 14 novembre 2002, il relatore cons. Sergio
Maria PISANA, l'avv. Donato PENNETTA e il vice Procuratore generale Mario
CONDEMI;
FATTO
Con l'impugnata sentenza gli appellanti, già componenti della Giunta municipale
di Montoro Superiore, sono stati condannati a pagare al Comune la complessiva
somma di lire 98.093.000, più rivalutazione monetaria e interessi legali, per
il danno cagionato con l'adozione della delibera giuntale n. 73 del 14 febbraio
1996, con cui era stato disposto di pagare al personale importi relativi al
fondo di produttività di cui al d.P.R. 3 agosto 1990, n. 333, per gli anni 1994
e 1995, senza che fossero stati osservati i presupposti normativi dettati per
il suo utilizzo (predisposizione e realizzazione di piani, progetti e altre
iniziative, individuate con la contrattazione decentrata, come disposto
dall'art. 6).
Con l'atto d'appello in esame, si sostiene che - contrariamente a quanto
ritenuto dal giudice di primo grado, che aveva ravvisato nella contestata
delibera un atto adottato in assoluta carenza di potere - la delibera stessa
era frutto di cattivo uso della potestà spettante alla Giunta, e pertanto
illegittima, ma non per ciò solo fonte di responsabilità
amministrativo-contabile; le somme attribuite al personale compensavano
comunque vantaggi concretamente recati nei due anni in riferimento, in termini
di produttività dell'azione amministrativa, tradottasi in minori costi (ad
esempio, per lavoro straordinario) e maggiori entrate, come risulta dalle
relazioni dei Capi servizio. Si esclude, in ogni caso, la sussistenza di colpa
grave, e in subordine si chiede un congruo uso del potere riduttivo.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni, osserva che la Giunta comunale,
operando nella materia al di fuori della propria sfera legittima d'azione ed
esorbitando dall'ambito della capacità riconosciutale dall'ordinamento, non ha
commesso una mera illegittimità formale, ma ha agito in carenza di potere,
integrando un illecito che esclude ogni possibilità configurare vantaggi per
l'ente locale o per la comunità amministrata; questi vantaggi, del resto, non
sono idoneamente provati, non potendosi ritenere obiettive le attestazioni
redatte dagli stessi Capi servizio che figurano fra i destinatari delle
illecite elargizioni. Aggiunge che un altro profilo di danno si ravvisa nel
fatto che i compensi sono stati imputati al bilancio comunale e non al fondo da
istituire ex art. 5 del d.P.R. 33/1990 (che è alimentato anche da altre fonti,
eventualmente comunitarie o nazionali). La colpa grave, se non addirittura il
dolo contrattuale, degli appellanti è poi comprovata dall'avere operato in
difformità dei pareri di ben due segretari comunali, al secondo dei quali il
sindaco C. ha ordinato per iscritto di dare esecutività alla delibera
contestata.
All'udienza del 15 novembre 2001, le parti avevano chiesto la dichiarazione di
cessazione della materia del contendere, allegando che il Comune aveva
provveduto al recupero della somma, ma questa Sezione, con ordinanza n. 115 del
13 marzo 2001, - considerato che la cessazione della materia del contendere può
essere dichiarata se sia provato l'avvenuto integrale ristoro del danno, come
determinato con l'impugnata sentenza, e quindi comprensivo di rivalutazione e
interessi, - ha ordinato una esatta quantificazione dell'ammontare del recupero
effettuato dal Comune, raffrontato con l'ammontare della somma in condanna,
anch'esso da quantificare distintamente nelle sue varie componenti. La Procura
generale ha interpellato al riguardo il Comune, che - dopo aver specificato che
la somma in condanna ammontava, alla data della cennata ordinanza, a lire
112.248.742, di cui lire 107.573.190 per somma capitale rivalutata - ha
comunicato che è stato possibile recuperare l'importo di lire 56.997.650. La
Procura ha chiesto, pertanto, che il giudizio prosegua per la differenza e per
le spese del secondo grado.
L'avv. PENNETTA, in udienza, ha affermato che sono stati recuperati altri 20
milioni circa, e che il recupero da parte del Comune prosegue; ha esibito varia
documentazione al riguardo e ha chiesto, nelle more, la sospensione del
giudizio. Il rappresentante del Procuratore generale si è rimesso al Collegio
in ordine alla chiesta sospensione, insistendo però per la condanna alle spese
di giudizio.
DIRITTO
Gli elementi della responsabilità amministrativo-contabile sono, com'è noto, il
danno, l'antigiuridicità della condotta e il dolo o la colpa grave. Il primo
non è stato se non parzialmente eliminato dal recupero effettuato dal Comune, e
comunque il Collegio non ravvisa, nella perdurante attività di recupero, un
valido motivo per sospendere il giudizio, potendo tenersi conto della somma
recuperata in sede di esecuzione della sentenza.
L'antigiuridicità della condotta degli appellanti è stata sostanzialmente
ammessa dagli stessi, che hanno peraltro tentato di configurarla come mera
illegittimità, non suscettibile di costituire presupposto di responsabilità
amministrativo-contabile. Sia il giudice di primo grado, sia il Pubblico
ministero hanno qualificato tale condotta come attività posta in essere in
assoluta carenza di potere. Secondo questo giudice d'appello, non è necessario
intrattenersi su tale disputa, giacché anche la mera illegittimità integra
l'elemento dell'antigiuridicità, che - se accompagnato dalla contestuale
presenza del danno e dell'elemento soggettivo, - può dar luogo alla cennata
forma di responsabilità. Quel che importa sottolineare è che, nella specie, gli
amministratori hanno corrisposto compensi al personale in violazione della
normativa dettata nell'art. 6 del d.P.R. 3 agosto 1990, n. 333: e un tale
comportamento è indiscutibilmente antigiuridico.
La possibilità di tener conto dei vantaggi conseguiti non attiene, poi, alla
qualificazione della condotta, ma alla individuazione della causa dei dedotti
vantaggi, che deve identificarsi - per poterne tener conto - con la causa del
danno. Nella specie, tale identità non sussiste in alcun modo. I vantaggi
allegati dagli appellanti, anche a prescindere dall'idoneità della loro prova,
non possono essere derivati dalla corresponsione al personale dei contestati
compensi, per il semplice fatto che tali compensi sono stati attribuiti a
posteriori, nel febbraio del 1996, e non possono avere influenzato il lavoro
svolto negli anni 1994 e 1995. La ratio dell'istituto del fondo per il
miglioramento dell'efficienza dei servizi di cui all'art. 6 del d.P.R.
333/1990, con cui è stato recepito l'accordo collettivo per il personale degli
enti locali, consiste nella attuazione di piani, progetti e altre iniziative,
individuati mediante contrattazione decentrata, aggiuntivi rispetto al lavoro
ordinario, e come tali compensabili in aggiunta al trattamento ordinario, a
carico di uno speciale fondo incentivante, con una propria alimentazione. Nella
specie, non c'è stato nessun lavoro aggiuntivo, identificato nei modi di legge,
e la maggiore produttività dell'impegno posto nell'effettuazione dei normali
compiti d'ufficio, certamente apprezzabile, non può trovare alcuna
corrispondenza con un compenso previsto in relazione a quel lavoro aggiuntivo.
Che poi anche l'effettuazione di quei piani, progetti e iniziative abbia la
finalità di promuovere una maggiore efficienza dei servizi è constatazione che
non inficia la differenziazione rilevata.
Circa l'elemento soggettivo, non può che convenirsi con quanto osservato dal
giudice di prima istanza e dal Procuratore generale. Infatti, la lettera del
dato normativo non consentiva alcuna incertezza o dubbio interpretativo,
evidenziando espressamente che doveva escludersi la “possibilità di erogazione
generalizzata collegata esclusivamente alla presenza”, che è quello che è stato
fatto nel caso in esame: Si aggiunga che i pareri sfavorevoli di due segretari
comunali, il secondo dei quali ha chiesto l'ordine scritto del Sindaco prima di
dare esecuzione alla delibera illegittima, avrebbe potuto e dovuto indurre gli
appellanti a recedere da un atteggiamento che ha assunto tutta l'aria di una
sfida all'ordinamento, quasi che gli amministratori locali non fossero soltanto
autonomi, ma addirittura legibus soluti. Il che, oltretutto, impedisce che
questo giudice possa fare uso, nei loro confronti, del potere riduttivo.
A carico degli appellanti sono da porre le spese di entrambi i gradi del
giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE DEI CONTI
SECONDA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE
Visto il d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994,
n. 19, e vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;
Visto il d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito con modificazioni con la
legge 20 dicembre 1996, n. 639;
Pronunciando definitivamente, ogni contraria eccezione o deduzione reietta;
- respinge l'appello proposto da C. C., R. D., N. M. e A. R. avverso la
sentenza della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione
Campania n. 50/2000 depositata il 26 giugno 2000,
- pone a carico degli appellanti, in parti uguali, le spese di giustizia, che
fino all'originale della presente sentenza ammontano a € 352,02 per il primo
grado e ad € 530,69 (euro cinquecentotrenta/69) per il grado d'appello;
- dispone che, in sede di esecuzione di questa sentenza, sia tenuto conto, al
fine di evitare qualsiasi duplicazione, della somma che risulterà essere stata
già recuperata dal Comune.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 novembre 2002.
IL RELATORE-ESTENSORE
F.to Sergio Maria Pisana
IL PRESIDENTE
F.to Tommaso De Pascalis
Depositata in Segreteria il 12 FEB. 2003
Il Direttore della Segreteria
F.to Mario Francioni
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