DEPOSITO TEMPORANEO DI RIFIUTI TRASFORMATO IN SEDE DI SMALTIMENTO ABUSIVO
REGOLE PER LE ELEZIONI
Corte di Cassazione - Sezione III penale - Sentenza 8 giugno-5 settembre
2007 n
Corte
di Cassazione - Sezione III penale - Sentenza 8 giugno-5 settembre 2007 n.
33866 Presidente
Vitalone - Relatore Fiale
Fatto e
Diritto
Il GIP del Tribunale di Cagliari, con decreto del 18/1/2007, convalidava e
disponeva autonomamente il sequestra preventivo di un'area di circa 230 mq in
territorio di (omesso), sita tra le vie (omesso), di proprietà della società
«L'.di.» e ceduta in locazione alla cooperativa sociale «Sa.St.», nonché di un
biotrituratore mobile, marca (omesso), di proprietà della medesima cooperativa,
perché utilizzati per attività non autorizzata di gestione rifiuti.
Detto sequestro veniva disposto in relazione al reato di cui al Decreto
Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 articolo 256 comma 1, (Raccolta e smaltimento
di rifiuti non pericolosi, senza l'autorizzazione prescritta dall'articolo 208,
stesso Decreto Legislativo), in quanto i Carabinieri del Nucleo operativo
ecologico di Cagliari avevano accertato che:
nell'area sequestrata (cortile completamente recintato di una distilleria in
disuso) era presente un cumulo di circa 500 mc di rifiuti biodegradabili non
pericolosi, costituiti da sfalci e potature di piante di provenienza urbana
triturati mediante il biotrituratore presente sul posto;
detti rifiuti provenivano dalla manutenzione di aree verdi urbane, in forza di
contratti stipulati tra la cooperativa sociale «Sa. St.» ed il Comune di
Cagliari, ma la stessa cooperativa non disponeva di alcuna autorizzazione (tra
l'altro mai richiesta) per la gestione e lo stoccaggio di rifiuti in quel sito;
sempre nell'area sequestrata veniva effettuata una prima fase di smaltimento,
mediante la triturazione, dei rifiuti di origine vegetale ivi raccolti.
Il Tribunale di Cagliari - con ordinanza dell'8/2/2007 - rigettava l'istanza di
riesame proposta nell'interesse di Ba. Al., presidente pro tempore della
cooperativa sociale «Sa. St.».
Il Tribunale, in particolare:
a) disattendeva la tesi difensiva secondo la quale sarebbe stato configurabile,
nella specie, non uno stoccaggio ma un deposito temporaneo dei rifiuti
anzidetti (secondo la nozione fornita dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006
articolo 183 comma 1, lettera m), attività come tale non soggetta ad
autorizzazione, e ciò per l'essenziale rilievo che essi non provenivano da
un'attività di produzione svolta nello stesso luogo in cui erano depositati;
b) considerava non applicabile alla specie il disposto del Decreto Legislativo
n. 152 del 2006 articolo 230 - che, al comma 1, definisce «luogo di produzione
dei rifiuti derivanti da attività di manutenzione delle infrastrutture» la sede
del cantiere o la sede locale del gestore della infrastruttura o «il luogo di
concentramento dove il materiale tolto d'opera viene trasportato per la
successiva valutazione tecnica» - sull'asserito presupposto dell'ontologica
differenza tra la nozione di «infrastruttura» e quella di area destinata a
verde pubblico.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso la difesa del Ba., eccependone la
illegittimità:
per l'erronea esclusione della configurabilità di una situazione di «deposito
temporaneo», ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 articolo 183
comma 1, lettera m);
per l'incongrua interpretazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006
articolo 230: i parchi ed i giardini, costituenti verde pubblico - secondo la
prospettazione difensiva - devono considerasi, infatti, infrastrutture
cittadine e tale norma consente al manutentore dell'infrastruttura di spostare
i rifiuti dal luogo di produzione al cantiere o al sito ove essi vengono
concentrati, senza porre in essere in tal guisa una attività di stoccaggio.
Il ricorso deve essere rigettato, perché le eccezioni in esso svolte non
valgono ad inficiare la legittimità della misura cautelare reale adottata.
1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema:
l'articolo 321 c.p.p. non menziona gli indizi di colpevolezza fra le condizioni
di applicabilità del sequestro, né può ritenersi applicabile l'articolo 273
c.p.p., dettato per le misure cautelari personali e non richiamato in materia
di misure cautelari reali. Ne consegue che, ai fini dell'adozione del
sequestro, è sufficiente la presenza di un fumus boni iuris e cioè
l'ipotizzabilità in astratto della commissione di un reato. Pertanto, il
decreto che dispone il sequestro preventivo non deve essere motivato in ordine
alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla fondatezza dell'accusa ed
alla probabilità di condanna dell'indagato (vedi Cass., Sez. 1, 31/5/1997, n.
2396);
ai fini dell'applicazione di un provvedimento di sequestro, è necessario
accertare la configurabilità di un reato nella sua accezione naturalistica e
prima facie, senza l'esame di questioni attinenti al giudizio di cognizione
(vedi Cass., Sez. III, 16/1/1993, n. 2321).
Alla stregua dei principi anzidetti va valutata la legittimità dell'ordinanza
impugnata.
2. A norma del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 articolo
183 si intende per:
«... i) luogo di produzione dei rifiuti: uno o più edifici o stabilimenti o
siti infrastrutturali collegati tra loro all'interno di un'area delimitata in
cui si svolgono le attività di produzione dalle quali sono originati i rifiuti;
l) stoccaggio: le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di
deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell'Allegato B alla parte
quarta del presente decreto, nonché le attività di recupero consistenti nelle
operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R13 dell'Allegato C
alla medesima parte quarta;
m) deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della
raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle seguenti condizioni:
1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine,
policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantità superiore a 2,5
parti per milione (ppm), né policlorobifenile e policlorotrifenili in quantità
superiore a 25 parti per milione (ppm);
2) i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di
recupero o di smaltimento secondo le seguenti modalità alternative, a scelta
del produttore:
2.1) con cadenza almeno bimestrale, indipendentemente dalle quantità in
deposito;
2.2) quando il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito raggiunga i 10
metri cubi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi i 10
metri cubi l'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un
anno;
2.3) limitatamente al deposito temporaneo effettuato in stabilimenti
localizzati nelle isole minori, entro il termine di durata massima di un anno,
indipendentemente dalle quantità;
3) i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni
di recupero o di smaltimento secondo le seguenti modalità alternative, a scelta
del produttore;
3.1) con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in
deposito;
3.2) quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito raggiunga i
20 metri cubi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi i
20 metri cubi l'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad
un anno;
3.3) limitatamente al deposito temporaneo effettuato in stabilimenti
localizzati nelle isole minori, entro il termine di durata massima di un anno,
indipendentemente dalle quantità;
4) il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di
rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti
pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle
sostanze pericolose in essi contenute;
5) devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e
l'etichettatura dei rifiuti pericolosi; ...».
Nella disciplina vigente vanno considerate, pertanto, attività di stoccaggio:
il deposito dei rifiuti prima di una delle operazioni di smaltimento (punto D15
dell'allegato B della parte 4 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006) elencate
nello stesso allegato (cd. deposito preliminare),
il deposito dei rifiuti prima di sottoporli ad una delle operazioni di recupero
(punto R13 dell'allegato C della parte 4 del Decreto Legislativo n. 152 del
2006) elencate nello stesso allegato (cd. messa in riserva);
il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti i
rifiuti destinati al recupero qualora non vengano rispettate le condizioni
stabilite dalla normativa vigente (punto R14 dell'allegato C della parte 4 del
Decreto Legislativo n. 152 del 2006).
A sua volta, il deposito temporaneo, nell'attuale normativa, continua a
caratterizzarsi come una forma del tutto peculiare di stoccaggio che precede
ogni e qualsiasi fase della gestione (raccolta, trasporto, smaltimento,
recupero) e non rientra, pertanto, nel concetto di gestione in quanto si
configura sostanzialmente come un prolungamento dell'attività dalla quale si
originano i rifiuti.
Il deposito temporaneo può e deve essere realizzato esclusivamente presso il
luogo di produzione dei rifiuti e resta fermo in capo al produttore l'obbligo
di tenuta dei registri di carico e scarico.
3. Una eccezione alla regola generale del divieto di creazione
del deposito temporaneo in luogo diverso da quello di produzione si rinviene
nel Decreto Legislativo n. 152 del 2006 articolo 230 i cui primi quattro commi
prevedono testualmente:
«1. Il luogo di produzione dei rifiuti derivanti da attività di manutenzione
alle infrastrutture, effettuata direttamente dal gestore dell'infrastruttura a
rete e degli impianti per l'erogazione di forniture e servizi di interesse
pubblico o tramite terzi, può coincidere con la sede del cantiere che gestisce
l'attività manutentiva o con la sede locale del gestore della infrastruttura
nelle cui competenze rientra il tratto di infrastruttura interessata dai lavori
di manutenzione ovvero con il luogo di concentramento dove il materiale tolto
d'opera viene trasportato per la successiva valutazione tecnica, finalizzata
all'individuazione del materiale effettivamente, direttamente ed oggettivamente
riutilizzabile, senza essere sottoposto ad alcun trattamento.
2. La valutazione tecnica del gestore della infrastruttura di cui al comma 1 è
eseguita non oltre sessanta giorni dalla data di ultimazione dei lavori. La
documentazione relativa alla valutazione tecnica è conservata, unitamente ai
registri di caricò e scaricò, per cinque anni.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche ai rifiuti derivanti da
attività manutentiva, effettuata direttamente da gestori erogatori di pubblico
servizio o tramite terzi, dei mezzi e degli impianti fruitori delle
infrastrutture di cui al comma 1.
4. Fermo restando quanto previsto nell'articolo 190, comma 3, i registri di
carico e scarico relativi ai rifiuti prodotti dai soggetti e dalle attività di
cui al presente articolo possono essere tenuti nel luogo di produzione dei
rifiuti cosi come definito nel comma 1».
L'eccezione, dunque, è espressamente rivolta a consentire l'effettuazione della
«valutazione tecnica, finalizzata all'individuazione del materiale
effettivamente, direttamente ed oggettivamente riutilizzabile, senza essere
sottoposto ad alcun trattamento».
Nella fattispecie in esame - al contrario - i rifiuti vegetali rinvenuti
nell'area assoggettata a sequestro non erano in alcun modo riutilizzabili e
venivano altresì sottoposti ad un trattamento di triturazione costituente già
uno fase di smaltimento.
Non risulta, inoltre, la regolare tenuta dei registri di carico e scarico ed è
tutta da verificare la pretesa regolarità quantitativa e temporale connessa al
successivo conferimento in discarica (tenuto conto che nell'area in oggetto
vennero rinvenuti dai Carabinieri circa 500 mc di rifiuti).
In una situazione siffatta perde rilievo, ad evidenza, la questione della
qualificazione del verde comunale quale infrastruttura cittadina, in quanto
l'inapplicabilità del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 articolo 230 si
connette all'inesistenza della valutazione tecnica alla quale detta norma è
finalizzata.
4. L'ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano
ai giudici del merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi, della
cui sufficienza in sede di cautela non può dubitarsi, le contrarie
argomentazioni svolte dal ricorrente non valgono ad escludere la legittimità
della misura adottata.
Al rigetto del ricorso segue l'onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema
di Cassazione, visti gli articoli 127 e 325 c.p.p., rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
......