ENTI LOCALI:SOMME PIGNORABILI
Addizionale IRPEF 2002: erogato il terzo acconto
SENTENZA N
SENTENZA
N.211
ANNO
2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
-
Riccardo CHIEPPA Presidente
-
Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
-
Valerio ONIDA "
-
Carlo MEZZANOTTE "
-
Guido NEPPI MODONA "
-
Piero Alberto CAPOTOSTI "
-
Annibale MARINI "
-
Franco BILE "
-
Giovanni Maria FLICK "
-
Ugo DE SIERVO "
-
Romano VACCARELLA "
-
Alfio FINOCCHIARO "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 159, commi 2, 3 e 4, del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali), promosso con ordinanza del 28 marzo 2002 dal Tribunale di
Messina nel procedimento esecutivo promosso dall’Associazione temporanea
d’imprese, costituita tra le imprese «ing. Nino Ferrari – Impresa Costruzioni
Generali s.r.l.» e «Puglisi Antonino Giovanni», contro il Comune di Messina ed
altro, iscritta al n. 551 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica edizione straordinaria, prima serie speciale,
del 27 dicembre 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2003 il Giudice relatore
Annibale Marini.
Ritenuto in fatto
Con
ordinanza del 28 marzo 2002, il Tribunale di Messina ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 97, primo comma,
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 159,
commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico
delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nella parte in cui «non
prevede, quale condizione ulteriore per l’impignorabilità delle somme di
pertinenza degli enti locali, che l’impignorabilità delle somme destinate ai
fini ivi indicati non opera qualora, dopo l’adozione da parte dell’organo
esecutivo della delibera semestrale di quantificazione preventiva degli importi
delle somme stesse, siano emessi mandati (di pagamento) a titoli diversi da
quelli vincolati, senza seguire l’ordine cronologico delle fatture così come
pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni
di impegno da parte dell’ente».
Il
rimettente, motivata la rilevanza della questione, riferisce che il Comune di
Messina ha proposto opposizione ad un pignoramento eseguito presso il suo
tesoriere, deducendo la impignorabilità delle somme oggetto dell’azione
esecutiva.
Evidenzia,
poi, che l’art. 113 del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77
(Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali), di cui il vigente art.
159 del d.lgs. n. 267 del 2000 ripropone il medesimo contenuto, è stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo «nella parte in cui non prevede che
l’impignorabilità delle somme destinate ai fini ivi indicati non opera qualora,
dopo l’adozione da parte dell’organo esecutivo della delibera semestrale di
quantificazione preventiva degli importi delle somme stesse, siano emessi
mandati a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l’ordine
cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è
prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell’ente»
(sentenza n. 69 del 1998).
Osserva
il giudice a quo che, nella citata sentenza, il giudice delle leggi pose
a confronto l’allora vigente art. 113 del d.lgs. n. 77 del 1995 con la
disciplina applicabile alle unità sanitarie locali (cioè l’art. 1, comma 5, del
decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, nella legge
18 marzo 1993, n. 67), rilevando che, quest’ultima, per effetto della addizione
derivata da una precedente sentenza della Corte costituzionale, la sentenza n.
285 del 1995, prevedeva quale condizione per la impignorabilità delle somme
destinate ai fini indicati dal predetto art. 1, comma 5, del d.l. n. 9 del 1993
che, dopo la adozione della delibera di quantificazione delle somme, non
fossero intervenuti pagamenti, diversi da quelli vincolati, in violazione
dell’ordine cronologico delle fatture pervenute o, laddove non previste, della
data della deliberazione di impegno da parte dell’ente.
La
ritenuta omogeneità dei soggetti destinatari delle distinte normative precitate
indusse, allora, la Corte costituzionale ad affermare che la disparità di
trattamento, in quanto del tutto priva di motivazione, era lesiva del principio
di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.
Tanto
premesso, il tribunale rileva che l’art. 159, commi 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 267
del 2000 ha reintrodotto nell’ordinamento una disposizione già dichiarata
illegittima, sicché i dubbi di costituzionalità a suo tempo prospettati in
relazione all’art. 113 del d.lgs. n. 77 del 1995 devono essere riproposti.
Infatti,
aggiunge il giudice a quo, essendo tuttora vigente il tertium
comparationis, costituito dalla ricordata disciplina applicabile alle
aziende sanitarie locali, il creditore che debba procedere in executivis nei
confronti di un ente locale si troverebbe in una situazione irragionevolmente
deteriore rispetto a chi agisca in danno di una azienda sanitaria: mentre al
primo, ai fini della impignorabilità delle somme di pertinenza dell’ente
locale, quest’ultimo potrebbe limitarsi ad opporre la sola delibera semestrale
di quantificazione delle somme necessarie ai fini essenziali dell’ente
debitore, nei confronti del secondo la impignorabilità sarebbe condizionata
anche all’osservanza da parte dell’esecutato di un determinato ordine nei
pagamenti relativi a titoli diversi da quelli vincolati.
Per
il rimettente si determinerebbe così anche un’insopportabile compressione del
diritto del creditore di agire in giudizio, in violazione dell’art. 24 della
Costituzione.
I
medesimi principi costituzionali sarebbero, altresì, vulnerati dal fatto che,
attesa la rilevabilità di ufficio della nullità del processo esecutivo sancita
dall’art. 159, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000, le pretese del creditore
dell’ente locale, diversamente da quanto previsto per il creditore della
azienda sanitaria, potrebbero essere frustrate anche in mancanza di opposizione
del debitore.
La
norma censurata contrasterebbe anche con l’art. 97 della Costituzione poiché il
mancato inserimento della addizione introdotta nell’art. 113 del d.lgs. n. 77
del 1995, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 69 del 1998,
potrebbe agevolare condotte della pubblica amministrazione contrarie ai
principi di imparzialità e buon andamento, date le diverse conseguenze
dell’inosservanza dell’ordine cronologico nella emissione dei mandati di
pagamento.
E’
intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso
per la infondatezza della questione.
Osserva,
infatti, la difesa della parte pubblica che le sentenze della Corte
costituzionale di dichiarazione di incostituzionalità, con riferimento dapprima
alle unità sanitarie locali e quindi agli enti locali, delle discipline
relative alla impignorabilità delle somme di danaro, si fondavano, data
«l’omogeneità delle due situazioni giuridiche poste a confronto»,
sull’irragionevole disparità di trattamento delle discipline di tali categorie
di enti.
Conseguentemente,
secondo la Avvocatura, pur riproducendo la norma ora censurata l’art. 113 del
d.lgs. n. 77 del 1995 nella versione già dichiarata incostituzionale,
occorrerebbe tener conto del fatto che, medio tempore, si sarebbe
verificato un profondo mutamento nel sistema che avrebbe provocato il venir
meno della norma, relativa alle unità sanitarie locali, indicata dal rimettente
quale tertium comparationis.
Le
unità sanitarie, infatti, non esisterebbero più e le loro funzioni sarebbero
ora svolte dalle aziende sanitarie, dotate di «personalità giuridica pubblica e
autonomia imprenditoriale», operanti mediante atti di diritto privato e
caratterizzate da «una disciplina contabile del tutto nuova e diversa, specie
rispetto a quella degli enti locali» dei quali le unità sanitarie, a differenza
delle attuali aziende, erano organi.
In
definitiva, il mutato quadro normativo, secondo l’interveniente difesa,
legittimerebbe il diverso regime della impignorabilità delle somme di danaro
degli enti locali, introdotto dal legislatore del 2000, rispetto a quello
originato dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 69 del 1998.
Considerato in diritto
1.-
Il Tribunale di Messina dubita, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24,
secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, della legittimità
costituzionale dell’art. 159, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali),
nella parte in cui esso - diversamente da quanto disposto per le aziende
sanitarie dall’art. 1, comma 5, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9
(Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), convertito,
con modificazioni, nella legge 18 marzo 1993, n. 67 - non prevede, quale
condizione per la impignorabilità delle somme destinate alle finalità di cui
alle lettere a), b) e c) del comma 2 dello stesso art.
159, oltre alla adozione della delibera semestrale di quantificazione delle
somme stesse, che l’ente locale, successivamente a detta delibera, non emetta
mandati, a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l’ordine
cronologico delle fatture o, in assenza della previsione di queste ultime,
delle deliberazioni di impegno.
Ad
avviso del rimettente, la norma denunciata determinerebbe un’ingiustificata
disparità di trattamento fra la posizione di chi debba procedere in
executivis nei confronti di un ente locale e quella di chi proceda, invece,
in danno di una azienda sanitaria: infatti, mentre al primo, ai fini della
impignorabilità delle somme oggetto dell’azione esecutiva, l’ente esecutato
potrebbe limitarsi ad opporre la sola delibera semestrale di quantificazione
delle somme necessarie alla realizzazione dei compiti essenziali dell’ente
debitore, nei confronti del secondo la impignorabilità sarebbe condizionata
anche all’osservanza da parte dell’ente esecutato di un determinato ordine
cronologico nei pagamenti relativi a titoli diversi da quelli vincolati.
La
norma violerebbe, altresì, l’art. 24 della Costituzione, stante
l’insopportabile compressione del diritto del creditore di agire in giudizio a
difesa dei propri diritti.
I
medesimi parametri sarebbero, altresì, vulnerati poiché, diversamente da quanto
previsto per le esecuzioni in danno delle aziende sanitarie, le pretese del
creditore dell’ente locale - attesa la rilevabilità di ufficio della nullità
del processo esecutivo prevista dall’art. 159, comma 2, del d.lgs. n. 267 del
2000 – potrebbero essere frustrate anche in mancanza di opposizione del
debitore.
La
norma censurata contrasterebbe anche con l’art. 97 della Costituzione poiché la
mancata riproposizione della addizione introdotta nell’art. 113 del decreto
legislativo 25 febbraio 1995, n. 77 (Ordinamento finanziario e contabile degli
enti locali), per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 69 del
1998, potrebbe agevolare condotte della pubblica amministrazione contrarie a
principi di imparzialità e buon andamento.
2.-
Deve preliminarmente affermarsi l’inammissibilità per evidente difetto di
rilevanza della questione relativa alla rilevabilità d’ufficio della nullità
del processo esecutivo sancita dall’art. 159, comma 2, del d.lgs. n. 267 del
2000, posto che, come riferito dal giudice rimettente, nella fattispecie in
esame la impignorabilità con la conseguente nullità del processo esecutivo
risulta essere stata eccepita dal comune esecutato.
3.-
L’altra e diversa questione, sollevata dal tribunale rimettente, è fondata.