ERRATA-CORRIGE
CHIARIMENTI PER LA COMPILAZIONE DEL MOD. 770/2005 SEMPLIFICATO
Rappresentanza in giudizio: non è più di esclusiva competenza del
Rappresentanza in giudizio: non è più di esclusiva competenza del Sindaco
e lo Statuto può attribuirla anche ai Dirigenti
(Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenza n. 12868 del 16
giugno 2005)
La rappresentanza in giudizio del
Comune ad opera del Sindaco non è più esclusiva, perché lo Statuto del Comune
può legittimamente affidarla ai dirigenti.
Inoltre, l’autorizzazione alla
lite da parte della Giunta non costituisce più, in linea generale, atto necessario
ai fini della proposizione o della resistenza all’azione, salva restando la
possibilità per lo Statuto di prevedere l’autorizzazione della Giunta, ovvero
di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente.
Questo è quanto hanno statuito le
Sezione Unite della Cassazione, superando il precedente, e maggiormente
restrittivo, orientamento della giurisprudenza.
Le Sezioni Unite della Cassazione
sono intervenute a seguito della richiesta presentata da una Sezione della
Corte competente a decidere in merito ad un ricorso presentato da un Comune,
costituitosi in giudizio in persona del Sindaco sulla base di una
Determinazione del Dirigente responsabile.
L’intervento delle Sezioni Unite
è stato richiesto ai fini della soluzione del contrasto giurisprudenziale esistente
in ordine alla persistenza della necessità, nel nuovo ordinamento degli Enti
Locali, della autorizzazione al Sindaco a stare in giudizio in nome e per conto
del Comune e, nel caso di soluzione positiva di detto quesito, in ordine alla
possibilità che lo Statuto comunale disciplini la materia delle autorizzazioni
alle liti attribuendo la relativa determinazione a dirigenti
dell'Amministrazione.
Le Sezioni Unite hanno
prioritariamente compiuto una rilettura complessiva dell'ordinamento degli
Enti Locali, attraverso una ricostruzione
storico-sistematica degli interventi normativi succedutisi nel tempo, che hanno
profondamente inciso sulla fisionomia, sull'autonomia e sull'organizzazione di
detti Enti.
Secondo l'orientamento
decisamente prevalente la rappresentanza in giudizio del Comune deve considerarsi
riservata, in base all'art. 50, del Tuel, esclusivamente al Sindaco e non può
essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un
servizio, neppure se ciò sia previsto dallo Statuto.
Conseguentemente, ove lo Statuto
o il regolamento contengano una tale previsione, essi dovrebbero
essere disapplicati dal giudice
ordinario, in ragione della loro illegittimità per violazione di legge.
Tali decisioni si fondano in
primo luogo sulla considerazione che il disposto dell'art. 50, del Tuel, il
quale riserva al Sindaco il
potere-dovere di rappresentare il Comune in giudizio, non può subire deroga attraverso
il conferimento del potere rappresentativo ad altri soggetti ad opera
dell'autonomia normativa comunale.
Inoltre, la giurisprudenza
dominante rileva che i poteri di direzione degli uffici e dei servizi
attribuiti ai dirigenti dall'art. 107, dello stesso Tuel, includenti quello di
adottare atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'Amministrazione
verso l'esterno e quello di stipulare contratti, non ricomprendono il potere di
rappresentanza processuale dell'Ente, che non costituisce oggetto di menzione
nella analitica elencazione contenuta in detta disposizione.
Le Sezioni Unite hanno chiarito
che l'indirizzo seguito dalla giurisprudenza prevalente deve essere
sottoposto a revisione, in quanto
gli argomenti che lo sorreggono, fondati sulla assunzione del dato
testuale fornito dall'art. 50,
del Tuel, ritenuto quale principio cardine del sistema, riflettono una visione dell'ordinamento
degli Enti Locali superata dai più recenti interventi riformatori, anche a
livello costituzionale.
Il processo di riforma avviato
con la Legge n. 142/90, proseguito con l’adozione del Tuel e successivamente
approdato alla modifica del Titolo V, Parte II, della Costituzione ed alla
successiva
Legge n. 131/03 di adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica al nuovo assetto costituzionale, ha prodotto
una significativa modifica della struttura e dei poteri degli Enti territoriali,
secondo una
prospettiva volta a consentire a
ciascun Ente di dotarsi di una struttura organizzativa adeguata alla
propria specificità ed ispirata a
criteri di economicità, efficienza ed efficacia.
Il sistema delle autonomie locali
nell'assetto previsto dalla Costituzione del 1948 rimetteva alla competenza
esclusiva dello Stato la disciplina dell'ordinamento dei Comuni e delle
Province e la definizione delle loro funzioni.
In particolare, l'art. 118 della
Costituzione assegnava alle leggi della Repubblica il compito di individuare,
nelle materie di competenza delle Regioni, funzioni amministrative di interesse
esclusivamente locale da attribuire alle Province, ai Comuni o ad altri Enti
Locali, e l’art. 128 della stessa Carta Costituzionale, definiva le Province ed
i Comuni come Enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali
della Repubblica, che ne determinano le funzioni, fornendo la base
costituzionale al riconoscimento
della competenza esclusiva della legge statale in materia.
Le incisive innovazioni
introdotte con il federalismo amministrativo a Costituzione invariata (con le
così dette Leggi Bassanini: Legge
n. 59/97, Legge n. 127/97, e il Dlgs. n. 112/98), nel quadro del riordinamento
e di una distribuzione organica delle funzioni tra Stato, Regioni, Enti Locali
ed autonomie funzionali e nello spirito di un ampio decentramento
amministrativo e della semplificazione dei procedimenti, posero l'esigenza di
una nuova riforma organica degli Enti Locali, ispirata a tali principi, che
trovò espressione nella Legge n. 265/99.
Con tale disposizione il
Legislatore ha effettuato un'opera di razionalizzazione ed armonizzazione della
normativa vigente, fissando il principio di sussidiarietà.
Con il Dlgs. n. 267/00, nel
procedere alla riunione della normativa vigente in materia ed al necessario coordinamento
con i principi generali dell'ordinamento, ha dettato la disciplina generale in
ordine all'assetto istituzionale degli Enti Locali, ponendosi come legge
organica di sistema, in attuazione del precetto costituzionale, contenuto
nell'art. 128, che affidava alle leggi generali dello Stato la fissazione dei
principi nell'ambito dei quali doveva esprimersi l'autonomia di Province e
Comuni.
La riforma del Titolo V, Parte
II, della Costituzione ha comportato una incisiva variazione dell'assetto costituzionale
degli Enti Locali, con l'abrogazione del citato art. 128, la previsione che la
competenza esclusiva della legge statale è circoscritta alla materia della
legislazione elettorale, degli organi di governo e delle funzioni fondamentali
di Comuni, Province e Città metropolitane (art. 117, comma 2, lett. p), della
Costituzione) l’equiparazione degli Enti territoriali - tutti
significativamente menzionati nella stessa disposizione di cui al comma 2,
dell'art. 114 - dal punto di vista della garanzia costituzionale e della pari dignità,
il riconoscimento di una loro posizione di autonomia statutaria, così da
delineare un sistema istituzionale costituito da una pluralità di ordinamenti
giuridici integrati, ma autonomi, nel quale le esigenze unitarie si coordinano
con il riconoscimento e la valorizzazione delle istituzioni locali.
Tale processo di trasformazione
dell'assetto costituzionale ha direttamente coinvolto la natura, la funzione ed
i limiti della potestà statutaria del Comune, quale modalità attraverso cui si
esplica l'autonomia dell'Ente.
Già l'art. 1, comma 3, del Dlgs.
n. 267/00, pone come limiti inderogabili all'autonomia statutaria soltanto i
principi espressamente enunciati come tali nella legislazione in materia di
ordinamento degli Enti Locali, affidando allo stesso Legislatore e sottraendo
all'interprete l'individuazione dei principi segnati da inderogabilità.
Secondo le Sezioni Unite, risulta
così delineato un ambito giuridico generale all'interno del quale gli
Statuti possono liberamente
esprimere e promuovere l'autonomia degli Enti e realizzare un assetto corrispondente
alle peculiarità del contesto sociale ed economico di riferimento.
Nel disciplinare specificamente
la materia statutaria, l'art. 6, del Tuel prevede, infatti, che i Comuni e le Province
adottano il proprio Statuto e questo, nell'ambito dei principi fissati dallo
stesso Tuel, stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'Ente.
Pertanto, ogni Comune deve
dotarsi di un proprio statuto, deputato a dettare le norme fondamentali
dell'organizzazione di governo, a
fissare i criteri generali sulla organizzazione amministrativa ed il
funzionamento dell'Ente, a
delinearne l'ossatura, le strutture di vertice e le loro articolazioni, le
modalità di interrelazione tra i vari uffici, le forme di collaborazione con la
Provincia, a disciplinare le altre materie ivi elencate, così da rappresentare
l'identità istituzionale di ciascuna comunità locale.
Si è con tale sistema “realizzata
una sostanziale delegificazione in ordine alla organizzazione ed al
funzionamento dell'Ente territoriale, mediante il trasferimento della relativa
disciplina dalla legge nazionale ad una fonte autonoma, affidata allo Statuto,
nel rispetto dei principi generali fissati dallo stesso Tu e degli altri
principi espressamente enunciati nelle leggi successive, nonché delle leggi che
conferiscono funzioni agli Enti Locali”.
Tale sistema ha profondamente
inciso nel rapporto tra legge statale e Statuto in quanto, mentre in passato
ogni disposizione di legge costituiva limite invalicabile all'attività
statutaria, nella nuova disciplina lo Statuto può derogare alle disposizioni di
legge che non contengano principi inderogabili.
Secondo le Sezioni Unite della
Cassazione, “lo Statuto è vincolato unicamente al rispetto dei principi innanzi
richiamati, tanto da potersi ora delineare il rapporto tra legge e statuto, non
tanto o non soltanto in termini di gerarchia, ma anche e soprattutto in termini
di competenza, ovvero di gerarchia limitatamente ai principi, e tale da potersi
qualificare non più come disciplina di attuazione, ma di integrazione ed
adattamento dell'autonomia locale ai principi inderogabili fissati dalla
legge”.
Nel quadro di tale processo di
trasformazione dell'impianto istituzionale, appare evidente che il Tuel ha perso
l'originaria connotazione di legge organica di sistema, una volta venuta meno
la norma costituzionale di riferimento costituita dall'art. 128 della
Costituzione, che affidava a leggi generali dello Stato l'enunciazione dei
principi nell'ambito dei quali l'autonomia degli Enti Locali poteva esplicarsi
ed altrettanto evidente, secondo la Corte di Cassazione, appare la previsione
che il potere normativo locale, menzionato direttamente dalla Costituzione, è
stato rafforzato insieme al valore degli statuti locali nella gerarchia delle
fonti.
Nel nuovo quadro costituzionale
“lo Statuto si configura come atto formalmente amministrativo, ma
sostanzialmente come atto
normativo atipico, con caratteristiche specifiche, di rango paraprimario o
subprimario, posto in posizione di supremazia rispetto alle fonti secondarie
dei regolamenti e al di sotto delle leggi di principio, in quanto diretto a
fissare le norme fondamentali dell'organizzazione dell'Ente ed a porre i criteri
generali per il suo funzionamento, da svilupparsi in sede regolamentare”.
Tale mutato quadro normativo di
riferimento esige una radicale revisione dell'impostazione tradizionale che
escludeva la legittimità di ogni previsione statutaria che conferisse la
rappresentanza ad agire e resistere alle liti a persona diversa dal Sindaco.
Le Sezioni Unite hanno chiarito
che l'art. 50, del Tuel, nell'attribuire al Sindaco la rappresentanza dell'Ente,
non contiene alcuna limitazione ad una specifica forma di rappresentanza e
pertanto non consente di circoscrivere tale potere rappresentativo ai soli
aspetti politico-istituzionali.
Al contempo, non vi è nell'art.
50, né in altre disposizioni del Tuel, alcun elemento dal quale si possa desumere
che la rappresentanza al Sindaco sia preclusiva della possibilità che altri
soggetti, espressamente indicati nello Statuto, siano chiamati a rappresentare
il Comune nelle liti attive e passive, conferendo i relativi mandati.
Al contrario, una potestà
statutaria in tale direzione trova un espresso fondamento normativo nell'art. 27
del Dlgs. n. 165/01, il quale prevede che le Amministrazioni non statali,
nell'esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguino ai
principi dell'art. 4 i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative
peculiarità.
Tra i principi richiamati in tale
disposizione è ricompreso quello disciplinato nell’art. 16 il quale, nel regolare
le funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali, alla lett.j), del
comma 1, attribuisce agli stessi il potere di promuovere e resistere alle liti,
nonché quello di conciliare e di transigere, attribuendo così a tali dirigenti
la legittimazione processuale attiva e passiva nelle controversie riguardanti
il settore dell'Amministrazione cui sono preposti.
Le Sezioni Unite hanno precisato
che il Legislatore, nel prevedere che tale disposizione si applica direttamente
soltanto ai dirigenti di uffici dirigenziali generali delle Amministrazioni
statali, anche ad ordinamento autonomo, “ha inteso affidare all'autonomia degli
Enti Locali, in ragione degli elementi che li differenziano rispetto
all’Amministrazione statale in termini di dimensioni, numero di dipendenti,
strumenti finanziari, eventuale mancanza della figura del dirigente, il
processo di adeguamento ai principi di quella normativa, sia in relazione alle
funzioni ed alle responsabilità in ordine all'attività politico-amministrativa,
sia con riguardo alla dirigenza, così riconoscendo ai dirigenti dei Comuni in
via mediata, attraverso specifiche previsioni statutarie e regolamentari, il
potere di agire e resistere alle liti”.
Inoltre, le Sezioni Unite hanno
chiarito che è attribuito alla autonomia statutaria anche un potere non limitato
alla disciplina organizzativa della rappresentanza legale, ossia alla materia
delle autorizzazioni a promuovere o resistere alle liti, comprensivo della
individuazione del soggetto investito del potere di rappresentanza processuale,
in via generale o in relazione a determinate categorie di controversie.
Nello Statuto sono disciplinati i
modi di esercizio della rappresentanza legale, anche in giudizio, e quindi è
possibile che lo stesso detti una diversa disciplina in tema di autorizzazione
alle liti attive e passive, esonerando il Sindaco dalla preventiva
autorizzazione.
La configurazione della Giunta
quale organo di governo, e al tempo stesso la considerazione dei poteri e delle
responsabilità nella gestione amministrativa che l'art. 107, del Tuel,
attribuisce ai dirigenti, “inducono a ritenere che l'autorizzazione alla lite,
quale atto essenzialmente gestionale e tecnico, da parte della Giunta non
costituisca più un atto necessario ai fini della proposizione o della
resistenza alle azio......