INALIENABILITÀ DEGLI IMPIANTI E DELLE RETI
Principio di rotazione negli affidamenti in economia
SENTENZA N
SENTENZA N. 320
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai
signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Gaetano
SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe
FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta
CARTABIA, Sergio MATTARELLA,
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio
di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera t), della legge
della Regione Lombardia 27 dicembre 2010, n. 21, recante «Modifiche alla legge
regionale 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse
economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di
utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), in attuazione dell’art. 2, comma
186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191», promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25 febbraio-2 marzo 2011,
depositato in cancelleria il 1° marzo 2011 ed iscritto al n. 12 del registro
ricorsi 2011.
Visto l’atto
di costituzione della Regione Lombardia;
udito
nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2011 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi
l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri
e l’avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia.
Ritenuto in
fatto
1. – Con
ricorso notificato il 25 febbraio 2011 e depositato il successivo 1° marzo (r.
ric. n. 12 del 2011), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato
l’art. 1, comma 1, lettera t), della legge della Regione Lombardia 27 dicembre
2010, n. 21, recante «Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26
(Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in
materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di
risorse idriche), in attuazione dell’art. 2, comma 186-bis, della legge 23
dicembre 2009, n. 191», per la parte in cui introduce nell’art. 49 della legge
regionale n. 26 del 2003 i commi 2, 4 e 6, lettera c). La disposizione è
impugnata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e), l), m), s),
della Costituzione, nonché, limitatamente all’introduzione del comma 2
nell’art. 49 della legge reg. n. 26 del 2003, in riferimento anche all’art. 117,
primo comma, Cost.
Il citato
comma 2 stabilisce che «Gli enti locali possono costituire una società
patrimoniale d’ambito ai sensi dell’articolo 113, comma 13, del d.lgs.
267/2000, a condizione che questa sia unica per ciascun ATO [ambito
territoriale ottimale] e vi partecipino direttamente o indirettamente mediante
conferimento della proprietà delle reti, degli impianti, delle altre dotazioni
patrimoniali del servizio idrico integrato e, in caso di partecipazione
indiretta, del relativo ramo d’azienda, i comuni rappresentativi di almeno i
due terzi del numero dei comuni dell’ambito». Il comma 4 del medesimo articolo
della legge regionale prevede che la società patrimoniale d’ambito «In ogni
caso […] pone a disposizione del gestore incaricato della gestione del servizio
le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali» e che «L’ente
responsabile dell’ATO può assegnare alla società il compito di espletare le
gare per l’affidamento del servizio, le attività di progettazione preliminare
delle opere infrastrutturali relative al servizio idrico e le attività di
collaudo delle stesse». Il successivo comma 6, lettera c), dispone che, al fine
di ottemperare nei termini all’obbligo di affidamento del servizio al gestore
unico, l’ente responsabile dell’ambito territoriale ottimale, tramite l’Ufficio
d’ambito di cui all’art. 48 della stessa legge reg. n. 26 del 2003, effettua
«la definizione dei criteri per il trasferimento dei beni e del personale delle
gestioni esistenti».
2. – Con
riguardo all’art. 1, comma 1, lettera t), per la parte in cui introduce il
comma 2 nell’art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, il
ricorrente afferma che tale disposizione, nell’autorizzare «ai sensi
dell’articolo 113, comma 13, del d.lgs. 267/2000», il conferimento in proprietà
delle infrastrutture idriche a società patrimoniali d’ambito a capitale
interamente pubblico, non cedibile, víola: a) l’art. 117, secondo comma,
lettere e), l), m), s), Cost.; b) l’art. 117, primo comma, Cost.
Quanto alla
violazione del secondo comma dell’art. 117 Cost., il ricorrente si duole che la
disposizione impugnata contrasta con la seguente normativa statale, adottata
nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva in materia di tutela
della concorrenza, ordinamento civile, determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni dei diritti civili e sociali, tutela dell’ambiente (articolo
117, secondo comma, lettere e, l, m, s): a) i commi 5 e 11 dell’art. 23-bis del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della
finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; b) l’art. 143, comma 1, del d.lgs. 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), il quale, in combinato disposto con
gli artt. 822, 823 e 824 del codice civile, qualifica le infrastrutture idriche
come beni demaniali e ne dispone l’inalienabilità «se non nei modi e nei limiti
stabiliti dalla legge».
Secondo la
difesa dello Stato, il conferimento in proprietà previsto dall’impugnato comma
2 dell’art. 49 non può trovare fondamento nell’espresso richiamo che tale comma
opera alla disciplina statale di cui al comma 13 dell’art. 113 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali), in seguito indicato come TUEL. La disposizione da ultimo
citata, infatti, sarebbe stata implicitamente abrogata dai commi 5 e 11
dall’art. 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008. Dal comma 5, che,
affermando il principio della proprietà pubblica delle reti, ne vieta la
cessione a soggetti privati quali sono le società patrimoniali d’àmbito,
nonostante il loro capitale totalmente pubblico; dal comma 11, che dispone l’abrogazione
dell’art. 113 del TUEL nelle parti incompatibili con il menzionato art. 23-bis.
Con tale abrogazione sarebbe venuta meno la norma statale dalla quale il comma
2 impugnato traeva l’autorizzazione a intervenire in una materia riservata alla
legislazione esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettere l) e
s).
In
subordine, la difesa erariale deduce il contrasto dell’impugnato comma 2 con la
normativa statale vincolante in tema di servizio idrico integrato di cui
all’art. 143, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale). Quest’ultimo stabilisce che «Gli acquedotti, le fognature,
gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà
pubblica, fino al punto di consegna e/o di misurazione, fanno parte del demanio
ai sensi dell’art. 822 e ss. del codice civile e sono inalienabili se non nei
modi e nei limiti stabiliti dalla legge». Da tale articolo, nella sua
connessione sistematica con gli artt. 822, 823 e 824 del cod. civ., si evince,
secondo il ricorrente, che gli acquedotti provinciali e comunali sono soggetti
al regime del demanio pubblico. Di qui l’illegittimità costituzionale del
denunciato comma 2, in quanto autorizza il trasferimento della proprietà degli
impianti a società di diritto privato che si trovano in posizione di autonomia
soggettiva rispetto agli enti pubblici che ne sono soci.
Quanto alla
violazione del primo comma dell’art. 117 Cost., il Presidente del Consiglio dei
ministri lamenta che la disposizione impugnata disattende un vincolo derivante
dall’ordinamento comunitario e reso operante attraverso l’art. 15, comma 1-ter,
del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per
l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte
di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, dalla
legge 20 novembre 2009, n. 166, il quale prevede che «tutte le forme di
affidamento della gestione del servizio idrico integrato devono avvenire nel
rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena
ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche».
2.1. – Il
Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche l’art. 1, comma 1,
lettera t), per la parte in cui introduce il comma 4 nell’art. 49 della legge
reg. Lombardia n. 26 del 2003. Tale comma è censurato in quanto, prevedendo la
possibilità di assegnare alla società patrimoniale d’àmbito il compito di
espletare le gare per l’affidamento del servizio, si porrebbe in contrasto con
l’art. 150, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 e con l’art. 12, comma 1,
lettera b), del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia di
servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo 23-bis,
comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133). La suddetta normativa
statale prevede, infatti, che spetti all’Autorità d’ambito aggiudicare la
gestione del servizio idrico integrato. La riserva alla legge statale del potere
di attribuire a diversi organi ed enti le funzioni già di competenza degli ATO
è confermata, secondo la difesa erariale, dall’art. 2, comma 186-bis, della
legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), il quale, nel
prevedere la soppressione delle AATO, ammette soltanto la loro attribuzione in
blocco ad altro, unico soggetto, non anche, come previsto dalla disposizione
regionale, lo scorporo di singole attribuzioni da devolvere a soggetti diversi.
2.2. –
L’art. 1, comma 1, lettera t), della legge reg. Lombardia n. 21 del 2010 è
impugnato, infine, per la parte in cui introduce nell’art. 49 della citata
legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003 il comma 6, lettera c), il quale
attribuisce all’ente responsabile dell’ATO la competenza a definire i criteri
per il trasferimento dei beni e del personale delle gestioni esistenti. La
norma, secondo l’Avvocatura dello Stato, si collega all’impugnato comma 2 del
medesimo art. 49, perché presuppone il trasferimento di proprietà da questa
autorizzato. Siffatto trasferimento – secondo la già illustrata doglianza del
ricorrente – è, tuttavia, vietato dalla legge statale. Ne consegue, secondo la
difesa dello Stato, che al comma 6, lettera c), del citato art. 49 sono
riferibili le medesime censure formulate rispetto al comma 2 dell’art. 49 nel
precedente punto 2.
3. – Si è
costituita in giudizio la Regione Lombardia, che ha chiesto di dichiarare la
questione non fondata e, limitatamente all’impugnazione del richiamato comma 6,
lettera c), inammissibile per genericità della censura.
3.1. – In
merito all’impugnazione del comma 2 dell’art. 49, la difesa regionale nega che
il comma 13 dell’art. 113 del TUEL sia stato implicitamente abrogato dall’art.
23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008. Si osserva in proposito che l’art.
23-bis prevede – nel comma 11 – l’abrogazione delle disposizioni previgenti
incompatibili, ma demanda pure – nel comma 10, lettera m) – ad un regolamento
di delegificazione l’espressa individuazione delle norme da abrogare. E l’art.
12, comma 1, lettera a), di tale regolamento (d.P.R. n. 168 del 2010) indica
quali norme abrogate – a decorrere dall’entrata in vigore dell’atto
regolamentare di cui è parte – i commi 5, 5-bis, 6, 7, 8, 9, escluso il primo
periodo, 14, 15-bis, 15-ter e 15-quater del menzionato art. 113 del TUEL, senza
fare menzione del comma 13. Di qui la conclusione che il comma 13 dell’art. 113
del TUEL, al quale – come visto – l’impugnato comma 2 dell’art. 49 si richiama
quale suo fondamento, deve considerarsi pienamente vigente.
Inoltre,
prosegue la resistente, non sussisterebbe alcuna incompatibi......