LIMITI ALLA RESCISSIONE DEL CONTRATTO D’APPALTO
PRIMO ACCONTO ADDIZIONALE IRPEF 2004
CONSIGLIO DI STATO SEZ
CONSIGLIO
DI STATO SEZ. V - sentenza 11 marzo 2005, n. 1039 - Pres. Frascione, Est. Farina -
Ufficio Territoriale del Governo di Napoli (Avv.ra Stato) c. GEKON di Maria
Simeoli s.n.c. (Avv. Lentini) e Comune di Valfabbrica (n.c.) - (conferma T.A.R.
Umbria, 5 maggio 2004, n. 216) (sulla possibilità o meno, per
giustificare le informative antimafia circa tentativi di infiltrazione mafiosa,
di fare riferimento a reati diversi da quelli previsti dal D.P.R. 252/1998).
FATTO
1. Il ricorso n. 6004 del 2004 è proposto dall’Ufficio
territoriale del Governo di Napoli. È stato notificato il 10 giugno 2004 alle
parti indicate in epigrafe. È stato depositato il 23 giugno.
2. È impugnata la sentenza n. 216/2004 del Tribunale
amministrativo regionale dell’Umbria, con la quale è stata annullata, per
invalidità derivata, la determinazione del competente organo del comune di
Valfabbrica, n. 21 del 19 gennaio 2004, che dispone la rescissione del
contratto 7 marzo 2003 di appalto del servizio di raccolta di rifiuti solidi
urbani e assimilati. Il provvedimento è stato adottato a seguito di
informazione prefettizia del 16 dicembre 2003, riguardante sussistenza di
tentativi di infiltrazione mafiosa nella s.n.c. GEKON.
L’impugnazione proposta con l’atto introduttivo era
rivolta anche contro una serie di atti connessi, fra i quali l’informazione
resa dall’ufficio prefettizio il 16 dicembre 2003.
3. È proposta un’unica articolata censura per sostenere la
legittimità dei provvedimenti impugnati dalla parte privata.
4. Quest’ultima si è costituita in giudizio con atto
depositato il 30 luglio 2004 ed ha svolto argomenti per resistere all’appello,
con memoria depositata il 6 agosto.
5. L’Avvocatura generale dello Stato ha presentato memoria
illustrativa il 27 ottobre 2004.
6. Nella camera di consiglio del 10 agosto 2004 è stata
respinta la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.
All’udienza del 9 novembre 2004, dopo l’intervento del
difensore della parte privata, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Il comune di Valfabbrica, con atto del 19 gennaio 2004,
ha disposto la rescissione del contratto di appalto, stipulato il 7 marzo 2003
con la società resistente all’appello, del servizio di raccolta di rifiuti
solidi urbani ed assimilati.
La determinazione comunale trae motivo dalla lettera degli
uffici della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Napoli, in data
16 dicembre 2003, inviata in risposta a richiesta di "informazione
antimafia", ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n.
490, e dell’art. 10 del d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252.
Nella nota informativa è affermato che: "dopo
effettuazione di ulteriori approfondite indagini e delle determinazioni del
Gruppo Ispettivo Antimafia, allo stato, sussistono i tentativi di infiltrazione
mafiosa nei confronti della società". Si aggiunge e si conclude che
"gli elementi di valutazione per esprimere tale ultimo giudizio sono
desunti dalle informazioni fornite dagli organi di polizia, acquisite agli atti
di questo ufficio."
2. Il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria ha,
con la sentenza ora appellata dall’Ufficio territoriale del Governo, annullato
il provvedimento comunale per invalidità derivata. Ha, infatti, ravvisato
l’illegittimità dell’atto presupposto, vale a dire della valutazione, resa
dall’ufficio statale con la informativa del 16 dicembre 2003, circa la
sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nella società appaltatrice
del servizio, accogliendo la censura, esposta nell’atto introduttivo, circa la
completezza, la congruità e la logicità della motivazione a base del giudizio
espresso.
In concreto, il primo giudice ha posto in risalto che né
le acquisizioni istruttorie del "gruppo ispettivo antimafia", né la
nota prefettizia del 16 dicembre 2003 si fondavano su altro elemento di fatto
che non fosse quello del richiamo alla circostanza che il direttore tecnico
della società, e marito della socia amministratrice, era destinatario di un
provvedimento di custodia cautelare (è in atti l’ordinanza 13 novembre 2003 del
giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli – Ufficio XII, che
la dispone) per il reato di associazione per delinquere, finalizzata al
traffico illecito di rifiuti.
Ne ha tratto la conseguenza che il caso non è
riconducibile fra nessuno di quelli indicati dall’art. 10, comma 7, del d.p.r.
3 giugno 1998, n. 252, dove si enunciano le circostanze dalle quali si desumono
le situazioni di tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese che operano
con le amministrazioni pubbliche.
3. L’appello dell’amministrazione statale si sostanzia in
tre proposizioni principali. Nessuna di esse è da condividere.
4. Viene lamentato, innanzi tutto, che il T.A.R. si è
pronunciato "sul solo difetto di motivazione", che non era stato
dedotto in nessun motivo di ricorso. Non sono stati valutati correttamente gli
atti acquisiti.
L’assunto non ha pregio.
La censura di illogicità e contraddittorietà della
valutazione compiuta, e quindi sulla difettosa motivazione dell’atto, è
chiaramente dedotta col primo motivo del ricorso introduttivo (alle pagg. da 4
a 7).
Il riferimento che fa l’appellante ad altro procedimento
pendente dinanzi ad altro T.A.R. e relativo a rapporto contrattuale con altro
Comune, non può assumere qui rilievo, posto che su di esso il "gruppo
ispettivo antimafia", che ha funzione consultiva del prefetto, non aveva
appoggiato la sua valutazione, visto che aveva ritenuto, nella seduta del 4
dicembre 2003, di acquisire ulteriori "circostanziate e documentate
notizie" sull’ordinanza di custodia cautelare, per esprimere "il
proprio definitivo giudizio".
5. Si sostiene, ancora, che l’atto prefettizio si fonda
anche sull’acquisizione del rapporto della commissione straordinaria
amministratrice del Comune di Frattamaggiore e del commissariato, sulla vicenda
riguardante il predetto direttore tecnico, e quindi su un’informazione fornita
dagli organi di polizia.
Anche questa tesi non appare da condividere.
È pur vero che l’informativa prefettizia, resa al Comune,
si conclude con la formula secondo la quale "gli elementi di valutazione
per esprimere" il giudizio sui tentativi di infiltrazione "sono
desunti dalle informazioni fornite dagli organi di polizia acquisite agli atti
di questo Ufficio". Ma è altresì vero che né in questa sede, né in primo
grado sono state enunciate o esibite acquisizioni istruttorie diverse da quella
relativa alla notizia sull’ordinanza di custodia cautelare, della quale si è
detto. L’informazione del commissariato (lettera del 27 novembre 2003) riguarda
un unico fatto, rilevante per i fini in discussione: l’essere, la persona sopra
indicata, destinataria del predetto provvedimento restrittivo della libertà
personale.
Le altre notizie, quelle sulla società con la quale era
intervenuta la cessione del ramo di azienda e sulla ipotesi che questa
"possa essere controllata da soggetti collegati alla malavita
organizzata": a) non sono state rese note al "gruppo" suddetto
per le due sedute che qui interessano (4 e 12 dicembre 2003); b) non sono
oggetto di informativa nella lettera prefettizia del 16 dicembre 2003; c)
figurano per la prima volta, stando agli atti acquisiti al giudizio, nella
relazione all’Avvocatura distrettuale di Napoli, fatta dalla Prefettura con
lettera del 4 febbraio 2004. La lettera è posteriore a tutta la vicenda in
esame, che si è conclusa con il provvedimento comunale del 19 gennaio 2004.
Resta, perciò, impregiudicata ogni successiva valutazione,
da parte degli uffici prefettizi, per le eventuali implicazioni da trarne ai
sensi dell’art. 10, comma 7, d.p.r. n. 252 del 1998, ma non può correttamente
sostenersi che tale fatto fosse a fondamento delle valutazione compiute dal
predetto "gruppo" e della successiva informativa data al comune di
Valfabbrica.
6. La terza, e più sviluppata, critica alla sentenza
appellata, è quella che riguarda l’interpretazione dell’art. 10, comma 7, lett.
a), del d.p.r. appena citato.
Il T.A.R., dopo aver condivisibilmente, come s’è visto,
escluso che vi fossero altre risultanze istruttorie sulle quali poggiava la
conclusione raggiunta dall’organo statale, ha esaminato la norma in questione
ed ha rilevato che in nessuna delle ipotesi elencate in essa era riconducibile
l’ordinanza cautelare emessa per il reato di associazione per delinquere (art.
416 c.p.).
L’amministrazione appellante contesta tale
interpretazione, ma non è da seguire nel percorso interpretativo che propone (e
che aveva sostenuto anche in primo grado).
L’art. 10, comma 7, lett. a), del d.p.r. 252 del 1998,
così recita: " … le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione
mafiose sono desunte: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare
o il giudizio, ovvero che recano un condanna anche non definitiva per taluno
dei delitti di cui agli articoli 629, 644, 648-bis, e 648-ter del codice
penale, o dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale".
Sostiene l’amministrazione che l’indicazione delle figure
di reato si riferisce soltanto ai casi di condanna, anche non definitiva. Il
riferimento ai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio
"non può mai leggersi in diretta correlazione" a quello sulle
condanne.
Non appare possibile, però, affermare che l’ordinanza di
custodia cautelare, della quale qui si discute, sarebbe sufficiente a delineare
una delle situazioni cui la norma ricollega un indizio di tentativo di
infiltrazione mafiosa nella società resistente.
Un primo elemento persuasivo è il risultato non
proporzionato cui si giungerebbe. In caso di misura cautelare o che dispone il
giudizio, qualsiasi reato sarebbe elemento decisivo per desumerne tentativi del
genere. In caso di misure che seguono alle indagini o ad una prima valutazione
dei fatti, invece, l’area dei delitti cui ricollegare l’esistenza dei tentativi
sarebbe singolarmente più limitata.
Un secondo elemento persuasivo, per non condividere la
tesi della difesa dell’amministrazione appellante, è che nelle misure cautelari
o che dispongono il giudizio non vi sarebbe nessun elemento caratterizzante la
possibile esistenza di un collegamento con fatti di criminalità organizzata. Il
che appare in palese contraddizione con la conseguenza che la norma ne
consente, vale a dire l’emersione di elementi relativi a tentativi di
infiltrazione mafiosa.
Ne deriva che sia le misure cautelari o che dispongono il
giudizio, sia le condanne non definitive, menzionate nell’art. 10, comma 7,
lett. a), del d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252, devono essere correlative alle
figure di reato delle quali si fa specifica elencazione nella stessa norma, per
poterne desumere situazioni che depongono per l’esistenza di tentativi di
infiltrazione mafiosa e che devono dar luogo, ad opera delle pubbliche
amministrazioni, ai provvedimenti restrittivi delle possibilità di stipulare
contratti o di acquisire determinati provvedimenti ampliativi per le imprese
che ne sono toccate.
7. Con l’annotazione, valida per le argomentazioni
dell’una e dell’altra parte in causa, che le vicende successive alla data
dell’informativa della quale si discute ed alla data del correlativo
provvedimento comunale, impugnato in primo grado, non rivestono rilevanza per
l’esame della legittimità che di questi atti qui si è condotta, si deve
concludere che l’appello non merita adesione.
8. Delle spese si può disporre la compensazione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione
Quinta, respinge l’appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita
dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 9 novembre
2004, con l'intervento dei Signori:
Emidio Frascione Presidente
Giuseppe Farina rel. est. Consigli......