PARTECIPAZIONE A GARE DI UNIVERSITÀ ED ENTI DI RICERCA
Illegittima la revoca di un'aggiudicazione "in autotutela"
Determinazione n
Determinazione
n. 7 del 21 Ottobre 2010
Questioni
interpretative concernenti la disciplina dell’articolo 34 del d.lgs.
163/2006 relativa ai soggetti a cui possono essere affidati i contratti
pubblici
Premessa
La presente determinazione è volta a chiarire
alcuni dubbi interpretativi attinenti alla disciplina dettata
dall’articolo 34 del d.lgs. 163/2006 (nel seguito “Codice”), in
particolare alla possibilità di ammettere alle gare per l’aggiudicazione dei
contratti pubblici soggetti giuridici diversi da quelli ricompresi
nell’elenco di cui all’articolo 34 del d.lgs. n. 163/2006, quali ad
esempio le fondazioni, gli istituti di formazione o di ricerca, le
Università.
La questione riveste carattere generale e verte sulla legittimità di una
interpretazione del citato articolo 34 che consenta la partecipazione
alle procedure competitive anche di ulteriori e diverse tipologie
soggettive, indipendentemente dalla loro natura giuridica.
Tale problematica è stata già affrontata dall’Autorità in atti specifici,
quali delibere e pareri di precontenzioso (si veda la deliberazione n.
119 del 2007, il parere n. 127 del 2008); appare pertanto opportuno
fornire indicazioni applicative di carattere generale, anche alla luce
della recente giurisprudenza comunitaria in materia (sentenza 23 dicembre
2009 C-305/08).
1. Interpretazione dell’articolo 34 del
Codice
Il citato articolo 34 del Codice ammette alle
gare d’appalto di lavori, servizi e forniture gli imprenditori
individuali, anche artigiani, le società commerciali, le società
cooperative, i consorzi nonché i soggetti che abbiano stipulato il
contratto GEIE, gli operatori economici stabiliti in altri Stati membri,
costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi.
La disposizione del Codice si limita, quindi, ad individuare un elenco di
soggetti affidatari dei contratti pubblici, recependo pressoché
letteralmente la previsione contenuta nell’articolo 10, comma 1, della
previgente legge 11 febbraio 1994, n. 109 relativa ai soli appalti di
lavori.
L’articolo3, comma 6, del Codice definisce il soggetto affidatario di
contratti pubblici quale “operatore economico”: termine, questo, che
include “l’imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi o un
raggruppamento o consorzio di essi” (comma 22 del medesimo articolo),
affiancando dunque alla figura dell’imprenditore anche quelle del
fornitore e del prestatore di servizi. Comune denominatore di tutte le
figure contemplate dall’articolo 34 è, senza dubbio, la nozione di
impresa intesa come esercizio professionale di un’attività economica.
La nozione di “operatore economico” in ambito europeo è molto ampia e
tende ad abbracciare tutta la gamma dei soggetti che potenzialmente
possono prender parte ad una pubblica gara: l’articolo 1, comma 8 della
direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di
forniture e di servizi, dopo aver definito gli appalti pubblici come
contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori
economici ed una o più amministrazioni aggiudicatrici, designa, con i
termini “imprenditore”, “fornitore” e “prestatore di servizi”,
una persona fisica o giuridica, o un ente pubblico, o un raggruppamento di
tali persone e/o enti che “offra sul mercato”, rispettivamente, la
realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi; la stessa
disposizione specifica, poi, che il termine “operatore economico”
comprende l’imprenditore, il fornitore ed il prestatore di servizi ed è
utilizzato allo scopo dichiarato di semplificare il testo normativo.
In ambito italiano, la definizione comunitaria di “operatore
economico” trova riscontro nell’articolo 3 del Codice che prevede, al
comma 22, che il termine di “operatore economico” comprende
l’imprenditore, il fornitore ed il prestatore di servizi o un
raggruppamento o un consorzio tra gli stessi, mentre, al comma 19,
specifica che i termini “imprenditore”, “fornitore” e
“prestatore di servizi” designano una persona fisica o giuridica o
un ente senza personalità giuridica, compreso il gruppo europeo di
interesse economico (GEIE), che offra sul mercato la realizzazione di
lavori o opere, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi.
Quindi, da un primo esame comparativo, le disposizioni dei due
ordinamenti giuridici sembrerebbero perfettamente allineate.
Tuttavia, il legislatore nazionale introduce nel Codice, riproponendo il
contenuto dell’articolo 10, comma 1, della legge n. 109/94, l’articolo 34,
rubricato “soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici”; in
esso è previsto un elenco di soggetti ammessi a partecipare alle gare per
l’affidamento di commesse pubbliche. Un primo problema, che l’articolo
pone, è relativo alla natura, tassativa o meno, dell’elenco contenuto; un
secondo, ma strettamente connesso al primo, è legato al significato
attribuito al termine imprenditore espressamente utilizzato.
Se l’imprenditore cui fa riferimento l’articolo 34 è solo quello
disciplinato dall’articolo 2082 del codice civile (chi esercita
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della
produzione e dello scambio di beni e servizi), si comprende che si è di
fronte ad un concetto più ristretto rispetto a quello abbracciato dalla
normativa comunitaria secondo la quale è imprenditore la persona fisica o
giuridica o l’ente pubblico o il raggruppamento di tali persone e/o enti
che offra sul mercato la realizzazione di lavori e/o opere.
Del resto, a riguardo, è opportuno rammentare che, nel contesto della
procedura di infrazione aperta nei confronti dell’Italia per alcune delle
disposizioni contenute nel Codice (poi chiusa in seguito all’adozione del
d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152 cosiddetto “terzo correttivo”), la Commissione
europea ha evidenziato che le direttive in materia di appalti pubblici
non consentono di restringere la possibilità di partecipare alle gare ad
alcune categorie di operatori, escludendone altre. Tale rilievo è, poi,
sfociato nell’intervento additivo della lettera f-bis al capoverso
dell’articolo 34 del Codice, che permette la partecipazione alle gare
degli” operatori economici, ai sensi dell’art. 3, comma 22, stabiliti in
altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente
nei rispettivi paesi”.
La giurisprudenza è stata chiamata più volte a pronunciarsi
sull’evidenziata divergenza tra le citate disposizioni nazionali che,
testualmente interpretate, circoscrivono la partecipazione alle procedure
di affidamento dei contratti pubblici alle sole società commerciali
(escludendo società semplici, associazioni, enti pubblici, ecc..) e
l’impostazione sostanziale ed oggettiva del diritto comunitario, estranea
a queste distinzioni. Sulla questione, sono emerse posizioni non univoche.
I dubbi erano diretti non tanto verso gli enti pubblici economici che
hanno natura ed a volte anche struttura imprenditoriale, quanto sugli
enti pubblici non economici a cui è difficile attribuire il carattere
dell’imprenditorialità e la cui partecipazione alle gare è suscettibile
di alterare la par condicio, creando una distorsione dei
meccanismi concorrenziali, atteso il sistema di contribuzione e vantaggi
di cui l’ente pubblico gode.
A fianco di un orientamento restrittivo (cfr. Tar Campania, Napoli,
Sez. I, 12 giugno 2002, n. 3411), ne è emerso un altro che, partendo
dalla considerazione per cui un’opzione pregiudizialmente ostile alla
partecipazione alle gare di soggetti pubblici mal si concilierebbe con il
principio che riconosce agli enti pubblici piena autonomia negoziale, -
la circostanza di essere beneficiari di contribuzioni pubbliche non è di
per sé ostativa alla partecipazione a gare pubbliche, sempre che si
tratti di contribuzioni conseguite nel rispetto della disciplina comunitaria
di riferimento (ne è prova il fatto che le imprese private beneficiarie
di aiuti finanziari pubblici possono prender parte a gare pubbliche) -
esclude un’incompatibilità in astratto e ritiene che la questione vada
affrontata in concreto, verificando caso per caso (cfr. Cons. Stato,
Sez. V, 29 luglio 2003, n. 4327; Cons. Stato sez. VI 16/6/2009 n. 3897) la
compatibilità delle finalità istituzionali proprie dell’ente che intende
prender parte alla selezione con l’attività oggetto della prestazione
dedotta nell’appalto da affidare.
L’Autorità ha avuto occasione di pronunciarsi sull’argomento con la
deliberazione n. 119 del 18.4.2007; in essa, esaminando i soggetti che ai
sensi dell’articolo 34 del Codice possono partecipare ad una gara pubblica,
notava che il comune denominatore degli stessi era rappresentato
dall’esercizio professionale di un’attività economica. Ciò aveva indotto
l’Autorità a concludere nel senso che le Università, non possedendo tale
requisito, non potessero essere ammesse alle procedure per l’affidamento
di contratti pubblici, a meno che le stesse non costituissero apposite
società, sulla base dell’autonomia loro riconosciuta dalla legge 9 maggio
1989, n. 168. Anche per gli Istituti di ricerca l’Autorità riteneva necessario
procedere ad una verifica caso per caso degli statuti dei singoli enti al
fine di valutare gli scopi istituzionali che gli stessi erano chiamati a
perseguire.
Più recentemente, l’Autorità, alla luce della giurisprudenza nazionale e
comunitaria, è tornata sulla questione, affrontando, in linea generale,
con il parere n. 127 del 23 aprile 2008, il problema della possibilità di
partecipazione alle gare d’appalto di soggetti giuridici diversi da
quelli indicati nell’elenco dell’articolo 34 del Codice, quali, nel caso
di specie, fondazioni, istituti di formazione o di ricerca. In detto
parere, si è ricordato che, per il diritto comunitario, la nozione di
impresa comprende qualsiasi ente che esercita un’attività economica
consistente nell’offerta di beni e servizi su un determinato mercato, a
prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità
di finanziamento (cfr. da ultimo, in tal senso, Corte di giustizia CE,
sentenza 26 marzo 2009, causa C-113/07 P, Selex Sistemi Integrati/
Commissione e Eurocontrol). Si tratta, quindi, di una nozione dai
confini ampi, che prescindono da una particolare formula organizzativa e
dalla necessità di perseguire finalità di lucro (cfr. sul punto le
conclusioni dell’Avvocato generale Jacobs presentate il 1 dicembre 2005
nella causa C-5/05, decisa con sentenza della Corte di giustizia CE 23
novembre 2006, Joustra nonché la sentenza della Corte di
giustizia CE 29 novembre 2007, causa C-119/06, Commissione/Italia).
Per quanto concerne gli enti pubblici non economici, quali gli enti di
ricerca CNR, FORMEZ, CENSIS e IFOA, l’Autorità ha esaminato il rischio di
alterazione della par condicio tra i partecipanti e il possibile
effetto distorsivo della concorrenza, atteso il particolare regime di agevolazioni
finanziarie di cui godono i predetti enti e la conseguente posizione di
vantaggio rispetto ad altri soggetti che forniscono i medesimi servizi
nell’esercizio dell’attività di impresa, dovendo sopportare integralmente
i relativi costi.
In proposito, va sottolineato che la Corte di giustizia CE ha già avuto
modo di precisare che gli enti pubblici che beneficiano di sovvenzioni
erogate dallo Stato, che consentono loro di presentare offerte a prezzi
notevolmente inferiori a quelli degli altri offerenti non sovvenzionati,
sono espressamente autorizzati dalla direttiva a partecipare a procedure
per l’aggiudicazione di appalti pubblici (sentenza 7 dicembre 2000,
causa C-94/99, ARGE).
Alla luce delle considerazioni esposte, l’Autorità, nel citato parere n.
127/2008, ha concluso, che gli enti pubblici non economici possono
partecipare a quelle gare che abbiano ad oggetto prestazioni
corrispondenti ai loro fini istituzionali, con la conseguente necessità
di operare una verifica in concreto dello statuto al fine di valutare la
conformità delle prestazioni oggetto dell’appalto agli scopi
istituzionali dell’ente, optando per un’interpretazione che non riconosce
carattere tassativo all’articolo 34 ......