PERMESSO DI COSTRUIRE NEGATO E RISARCIMENTO DEL DANNO
LA SCELTA FIDUCIARIA DI UN PROFESSIONISTA NON SOGGIACE AI VINCOLI FISSATI PER LE GARE
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ
CORTE DI CASSAZIONE,
SEZ. I CIVILE - sentenza 23 luglio 2004 n. 13804 - Est. Fioretti - E.G c.
Comune di Ceglie - P.M. Cafiero (conforme).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione,
notificato il 7.3.1992, E.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di
Brindisi il Comune di Ceglie Messapica chiedendone la condanna al risarcimento
dei danni nella misura di lire 400.000.000.
A sostegno della domanda
l’attore esponeva che la Commissione Edilizia di detto Comune aveva approvato,
nella seduta del 29.6.1964, un piano di lottizzazione da lui presentato nella
sua qualità di geometra;
che il Consiglio comunale
aveva successivamente recepito uno schema di convenzione autorizzato dal
Sindaco (delibere n. 93 del 17.7.1973 e n. 257 del 20.5.1977);
che in data 14.9.1974
aveva presentato istanza per ottenere la licenza edilizia per la realizzazione
di due palazzine su due aree di sua proprietà ricomprese nell’ambito del
menzionato piano di lottizzazione ed in conformità dello stesso;
che contro il
silenzio-rifiuto del Sindaco aveva proposto ricorso al T.A.R., in quale ne
aveva dichiarato la illegittimità (sent. del 12.2.1986 - 23.4.1987);
che nel corso di detto
giudizio la Commissione Edilizia Comunale aveva espresso parere favorevole, ma
che, definito il giudizio, il Sindaco aveva negato il rilascio della licenza
con provvedimento del 24.8.1987 n. 15238, motivandolo con la notevole eccedenza
di volumi del progetto rispetto ai parametri previsti nel piano di
lottizzazione;
che tale provvedimento
era stato impugnato dall’esponente dinanzi al T.A.R., il quale lo aveva
annullato, stigmatizzando l’operato del Sindaco;
che per contributi di
urbanizzazione aveva versato la somma di lire 6.606.872, che il Comune non
aveva più restituito.
Costituitosi in giudizio,
il Comune convenuto resisteva alla domanda, deducendo il difetto di
giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria e l’infondatezza della
domanda nel merito.
Il giudice adito, su
istanza dell’attore, pronunciava in data 19.10.1996 ordinanza ai sensi dell’art.
186-quater c.p.c., con la quale condannava il Comune alla restituzione della
somma corrisposta per le opere di urbanizzazione e respingeva la domanda
risarcitoria in quanto correlata alla violazione di un interesse legittimo.
Avverso detta ordinanza
E.G., previa rinuncia alla pronuncia della sentenza, proponeva appello dinanzi
la Corte d’appello di Lecce, quantificando il danno in L. 1.174.691.969 o, in
subordine, in L. 885.680.987.
Il Comune di Ceglie
Messapica resisteva al gravame.
Con sentenza in data
17.5.2001, depositata in data 11.6.2001, la corte d’appello summenzionata
respingeva la impugnazione, osservando che nella condotta della P.A. non si
ravvisavano gli estremi del dolo o della colpa.
Avverso tale sentenza
E.G. ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di un unico motivo,
illustrato con memoria.
Il Comune di Ceglie
Messapica ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di
ricorso il ricorrente denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti
o rilevabile d’ufficio.
Lamenta il ricorrente che
il giudice a quo abbia omesso di dare il giusto rilievo a circostanze decisive
emergenti dalle sentenze del T.A.R., di cui in narrativa, ed in particolare al
fatto che nella prima delle due sentenze il T.A.R. aveva pesantemente censurato
il silenzio serbato dal Sindaco, esprimendosi in termini di doverosità del
rilascio della licenza e creando, quindi, un forte vincolo conformativo alla successiva
attività della P.A.
Il ricorso è infondato.
Deduce, in particolare,
il ricorrente che la impugnata sentenza non avrebbe tenuto minimamente conto
del fatto che il rapporto con l’amministrazione comunale era stato
caratterizzato da ben due sentenze del T.A.R., delle quali la prima (n.
475/87), ritenute fondate le censure di carattere sostanziale dedotte dal
ricorrente, non si era limitata ad una semplice pronunzia di illegittimità del
silenzio rifiuto tenuto dal Sindaco (per il fatto che occorreva un provvedimento
espresso), ma aveva affermato che questi era tenuto a rilasciare la richiesta
licenza edilizia.
Alla luce del contenuto
di questa sentenza la corte di merito avrebbe dovuto apprezzare la
illegittimità del provvedimento di diniego di concessione che il Sindaco aveva
poi opposto al ricorrente e che era stato annullato dal T.A.R. con la seconda
sentenza (n. 1035/90).
Detta corte avrebbe,
invece, semplicisticamente valutato il contenuto e la portata della seconda
sentenza quasi che si fosse trattato di una banale pronuncia di annullamento
per difetto di motivazione che lasciava impregiudicata la reiterazione del
provvedimento negativo su diverse basi motivazionali, senza tener conto del
fatto che la pronuncia del diniego di concessione seguiva la pronuncia di
illegittimità del silenzio serbato dal Sindaco e si esprimeva in termini di
grave censura nei confronti dello stesso.
Il T.A.R. aveva, infatti,
ricostruito la vicenda edilizia evidenziando che il progetto del ricorrente era
stato esaminato dalla Commissione Edilizia Comunale, che aveva conclusivamente
espresso parere favorevole una prima volta con verbale n. 178 del 17.3.1976 e
successivamente, confermando tale avviso, nella seduta del 5.1.1979.
Rilevava ancora il T.A.R.
che in tale ultima occasione la Commissione Edilizia Comunale, aveva anche
motivato il proprio giudizio giustificando l’eccesso di cubatura con la
disponibilità dell’area rimasta scoperta da vincolare a verde pubblico.
Il Sindaco, pertanto,
avrebbe potuto disattendere il parere favorevole espresso dalla Commissione
Edilizia Comunale, e negare la concessione solo motivando adeguatamente il
proprio dissenso, adducendo pertinenti ragioni in contrapposizione a quelle
formulate, nella pronuncia tecnica infraprocedimentale, dalla Commissione
Edilizia Comunale.
Il Sindaco aveva, invece,
motivato il proprio diniego con riferimento ai medesimi profili (eccesso di
cubatura) espressamente valutati dalla Commissione Edilizia Comunale (come non
ostativi al rilascio della concessione) senza però spiegare i motivi del
contrasto con la diversa opinione espressa da tale commissione.
Le richiamate pronunce
del giudice amministrativo supporterebbero, secondo il ricorrente, un giudizio
di colpevolezza dell’amministrazione nel suo comportamento complessivo, non
essendosi questa conformata a regole di imparzialità, correttezza e buona
amministrazione.
Deduce, altresì, il
ricorrente che nel corso del presente giudizio né in primo grado né in secondo
grado sarebbe stata contestata la edificabilità del suolo di sua proprietà né
sarebbe stata formulata una qualche considerazione in relazione alla giustezza
del provvedimento di diniego opposto dal Sindaco e ritenuto illegittimo dal
T.A.R.
La corte d’appello, come
risulta dalla sentenza impugnata, ha esaminato la fattispecie dedotta in
giudizio alla luce del nuovo orientamento introdotto dalla sentenza n. 500 del
1999 delle sezioni unite di questa Corte, che ha riconosciuto anche il
risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, e che, in particolare,
per quanto riguarda il requisito della colpa, ha affermato che non è invocabile
il principio secondo cui, nel caso di esecuzione volontaria di un atto
amministrativo illegittimo, la colpa della struttura pubblica è in re ipsa,
richiedendo, invece, l’accertamento di detto estremo - da riferirsi non al
funzionario agente, ma alla P.A. come apparato - una indagine, non limitata al
solo accertamento dell’illegittimità del provvedimento in relazione alla
normativa ad esso applicabile, ma diretta a verificare se l’adozione e
l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia
avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona
amministrazione, alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione
amministrativa e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, costituendo
queste limiti esterni alla discrezionalità amministrativa.
Alla stregua
dell’insegnamento che precede la corte di merito ha valutato nel suo complesso
il comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione, non ignorando, come
affermato dal ricorrente, la prima sentenza del T.A.R. ed il parere espresso
dalla Commissione Edilizia Comunale, ma attribuendo loro, al fine
dell’accertamento della colpa, una valenza diversa da quella pretesa dal ricorrente.
La corte di merito, dopo
aver evidenziato che il provvedimento del Sindaco di diniego della licenza era
stato annullato dal T.A.R. per difetto di motivazione e che il motivo, per cui
era stato annullato, non ne avrebbe impedito la reiterazione su basi di
spessore più solido nel senso voluto dal T.A.R., ha osservato che, come
riconosciuto nella stessa sentenza del T.A.R., la Commissione Edilizia Comunale
aveva espresso parere favorevole dopo un sofferto iter amministrativo
avendo rilevato un eccesso di cubatura rispetto alle previsioni del piano di
lottizzazione, che aveva giustificato nel verbale conclusivo "con la
rimanente area da vincolare a verde privato".
Il Sindaco aveva ritenuto
di non recepire codesto parere non vincolante, atteso il contrasto emerso in
sede di esame consultivo.
Detto sofferto iter
amministrativo, in assenza di altri elementi probatori, "non potendosi
certo utilizzare le caratteristiche della tattica difensiva prescelta dal
legale nel corso del primo giudizio amministrativo", non consentiva di
ravvisare nella condotta della P.A. (intesa come apparato) gli estremi del dolo
o della colpa, atteso che la situazione di fatto "poneva gli atti
dell’E.G. fuori di una ordinata, regolare, conforme linearità, sí da ingenerare
"perplessità" nella stessa Commissione ed anche nel Sindaco (come si
può desumere dal silenzio serbato in un primo tempo), inducendolo, alla fine,
ad adottare un più deciso e netto provvedimento di reiezione".
Osserva il collegio che
detta motivazione appare adeguata, logica e conforme a diritto, avendo la corte
di merito, come si evince da quanto sopra esposto, esaminato entrambe le
menzionate decisioni del T.A.R. (peraltro, per quanto riguarda la prima, alla
quale il ricorrente attribuisce particolare rilievo, devesi osservare che non è
stata riprodotta nel ricorso nel suo contenuto integrale - come avrebbe
richiesto il principio dell’autosufficienza del ricorso per Cassazione - non
consentendo così a questa corte di poterne esaminare, al fine di valutarne la decisività,
l’effettivo contenuto sia con riferimento agli accertamenti di fatto che alle
valutazioni espresse dal giudice amministrativo) e considerato tutte le
circostanze rilevanti al fine dell’accertamento della colpa della P.A.
Attraverso tale completa disamina
la corte di merito è pervenuta alla conclusione che la condotta
dell’amministrazione non potesse considerarsi tenuta in violazione dei principi
di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione dinanzi ad una
richiesta di rilascio di licenza edilizia per un progetto che superava i limiti
di cubatura previsti dalla convenzione di lottizzazione (situazione che aveva
indotto il Sindaco a serbare il silenzio, poi dichiarato illegittimo, sulla
richiesta di licenza edilizia), ed in una situazione in cui la Commissione
Edilizia Comunale aveva ritenuto dopo un sofferto iter amministrativo (di cui
da atto lo stesso T.A.R., come evidenziato dal giudice a quo) di poter superare
l’ostacolo, dando parere favorevole, solo considerando la possibilità di vincolare
la rimanente area a verde privato.
Tale conclusione appare
condivisibile, in considerazione del fatto che la situazione obbiettiva era
tale da ingenerare, come affermato dalla corte di merito, perplessità nella
stessa Commissione ed anche nel Sindaco, avendo ristante presentato richiesta
di concessione per la edificazione di una costruzione, che non rispettava i
limiti di cubatura, ed avendo la Commissione Edilizia Comunale, non senza
contrasti interni, ritenuto di poter ovviare a tale ostacolo "con la
rimanente area da vincolare a verde privato" senza, peraltro, che risulti
che il richiedente avesse proposto tale eventuale soluzione.
Ora, se si può
fondatamente ritenere che la esistenza di una lottizzazione dia luogo, in
astratto, ad una qualificata aspettativa del privato di realizzare le opere
previste, tale aspettativa non può più ritenersi, in concreto, qualificata
qualora il privato pretenda di realizzare opere che non rispettino i limiti di
edificabilità anche se, come nel caso di specie, la Commissione Comunale
Edilizia abbia espresso parere favorevole indicando, dopo aver superato
comprensibili contrasti interni, un’ opinabile soluzione per superare
l’ostacolo.
In tale situazione,
l’organo tenuto al rilascio della licenza, il Sindaco, non poteva non nutrire
fondate perplessità circa la legittimità dell’emanazione di detto
provvedimento, il cui diniego, si badi bene, è stato annullato, come
evidenziato dalla corte di merito, non per vizi sostanziali, ma per difetto di
motivazione, vale a dire per un vizio che non precludeva la possibilità di
reiterazione dell’atto.
In una situazione non
suscettiva di determinare nel richiedente un oggettivo affidamento circa la sua
conclusione positiva, in una situazione, cioè, che, secondo la disciplina applicabile,
non consentiva di prevedere, secondo un criterio di normalità, un esito
favorevole e, soprattutto, in una situazione fattuale, creata dal richiedente,
atta ad ingenerare nella pubblica amministrazione legittime perplessità, non si
può fondatamente sostenere che il provvedimento di diniego della licenza
edilizia sia stato adottato in violazione delle regole di imparzialità, di
correttezza e di buon andamento, alle quali deve conformarsi l’azione
amministrativa.
Per quanto precede il
ricorso deve essere respinto.
Data la particolare
complessità della materia, sussistono giusti motivi per la compensazione delle
spese giudiziali.