RESPONSABILITA' PER ABBANDONO RIFIUTI
TERMINE TRASMISSIONE DATI VIGILANZA ANAGRAFICA
Consiglio di Stato Sentenza del 19/03/2009 n
Consiglio
di Stato Sentenza del 19/03/2009 n.1612 Sez.5
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,
Quinta
Sezione
ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul
ricorso in appello n. 4729/08 proposto dalla Sig.ra An. Ga., rappresentata e
difesa dagli Avv.ti An. As. e Sa. Mi., presso il quale ultimo è elettivamente
domiciliata in Ro., Lungotevere dei Me. n. (...);
contro
il
Comune di So. Ca., in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli
Avv. Ca. Ca. e Al. Ca. ed elettivamente domiciliato in Ro., Via L. Ma. n.
(...), presso il Cav. Lu. Ga.;
per
la riforma
della
sentenza del T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione I, 19 marzo 2008, n. 793;
Visto
il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Visto
l'atto di costituzione in giudizio del Comune;
Viste
le memorie prodotte dalle parti;
Visti
gli atti tutti della causa;
Relatore,
alla pubblica udienza del 2 dicembre 2008, il Consigliere Nicola RUSSO;
Sentiti
gli avv.ti Sa. Mi., quest'ultimo per delega degli avv.ti Ca. Ca. e Ga., come da
verbale d'udienza;
Ritenuto
in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con
l'impugnata ordinanza 3 maggio 2006, n. 7, il Sindaco del Comune di So. Ca. ha
ordinato di adottare, entro trenta giorni, ogni necessario intervento di
bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale di un fondo di proprietà
della stessa appellante in cui si è riscontrata la presenza di un deposito
abusivo di rifiuti.
Con
successivo provvedimento n. 3840 del 6 luglio 2006 lo stesso Comune ha reiterato
l'intimazione a provvedere alla bonifica ordinata; altrettanto è stato infine
ribadito con ulteriore ordinanza n. 29 del 12 dicembre 2006, dopo che il
Consiglio di Stato, in una precedente fase del presente giudizio, aveva accolto
l'istanza cautelare già disattesa in prime cure, non ritenendo di poter
ravvisare nella mancata recinzione del fondo base sufficiente per integrare
l'elemento soggettivo richiesto dalla normativa.
Nondimeno,
la sentenza di primo grado ha respinto il ricorso, e successivi motivi
aggiunti, recanti impugnativa di tutti i succitati provvedimenti, avendo
ritenuto che l'art. 14, comma 3, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (poi
sostituito, con analoga formulazione, dall'art. 192, D.Lgs. 3 aprile 2006, n.
152), consenta di fondare la legittimità degli atti impugnati sulla mera
attività omissiva del proprietario del fondo su cui siano stati abbandonati
rifiuti solidi ad opera di ignoti, per non aver costui né recintato il proprio
fondo, né operatane la spontanea bonifica avendovi trovato i rifiuti in
discorso.
Si
è costituito il Comune di So. Ca. chiedendo il rigetto del gravame avversario,
con vittoria delle spese di lite.
Con
ordinanza n. 4271 del 22 luglio 2008 è stata accolta l'istanza cautelare di
sospensione dell'efficacia della sentenza impugnata.
Le
parti hanno illustrato le loro posizioni con memorie depositate in vista
dell'udienza di discussione.
La
causa è stata spedita in decisione all'udienza pubblica del 2 dicembre 2008.
DIRITTO
Il
primo motivo di appello deduce "violazione dell'art. 12 delle preleggi;
vizio di motivazione; erronea presupposizione dei fatti; violazione ed errata
interpretazione dell'art. 14 D.Lgs. n. 22 del 5.2.97 e 192 del D.Lgs. n. 152
del 3.4.2006; violazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990; eccesso di
potere per carenza dei presupposti, difetto di motivazione, sviamento, carenza
o insufficienza di istruttoria ed errato esercizio dell'azione amministrativa;
eccesso di potere per contraddittorietà".
Il
motivo è fondato, alla stregua dell'esegesi tracciata da questo Consiglio circa
i citt. artt. 14 e 192; esegesi che il Collegio ritiene oggi di dovere
confermare e ribadire.
Dispone,
invero, la citata normativa (art. 14, comma 3) che "Fatta salva
l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 50 e 51, chiunque viola i
divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a
recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi
in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di
godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o
colpa. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed
il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in
danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate".
Al
comma 1 del medesimo articolo, invece, si stabilisce, in termini più generali,
che "L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel
suolo sono vietati".
L'esegesi
della norma è tracciata - in esatti termini al nostro caso - da C.d.S., V, 25
agosto 2008, n. 4061.
Già
allora, questa Sezione ha affermato che, "in tema di abbandono di rifiuti,
la giurisprudenza amministrativa, già con riferimento alla misura
reintegratoria prevista e disciplinata dall'art. 14 del D.lgs. n. 22/1997 (c.d.
"Decreto Ronchi"), statuì che il proprietario dell'area fosse tenuto
a provvedere allo smaltimento solo a condizione che ne fosse dimostrata almeno
la corresponsabilità con gli autori dell'illecito abbandono di rifiuti, per
aver posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o
colposo (v., tra le molte, Cons. St., sez. V, 25.1.2005, n. 136), escludendo
conseguentemente che la norma configurasse un'ipotesi legale di responsabilità
oggettiva (vieppiù, per fatto altrui) ".
"In
particolare, fu affermata l'illegittimità degli ordini di smaltimento di
rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione
della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte
dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di
un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su
condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della
condotta".
I
suddetti principi a fortiori si attagliano anche al disposto dell'art. 192 del
D.lgs. n. 152/2006, dal momento che tale articolo, non soltanto riproduce il
tenore dell'abrogato art. 14 sopra citato, con riferimento alla necessaria
imputabilità a titolo di dolo o colpa, ma in più integra il precedente precetto
precisando che l'ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente
"in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti
interessati, dai soggetti preposti al controllo" ".Calando, dunque,
le superiori considerazioni al caso in esame, va affermato (come già
evidenziato in precedenti ordinanze cautelari rese in questo stesso giudizio)
che non è stata né accertata, né tampoco dimostrata, dall'ente civico, la
sussistenza dell'elemento psicologico (ossia almeno la colpa) che avrebbe
dovuto sorreggere la condotta omissiva dell'appellante - quale condizione
necessaria per la legittimità dei provvedimenti qui impugnati -
l'Amministrazione essendosi unicamente limitata a rilevare la qualità di proprietaria
della ricorrente, per ciò solo ordinandole di bonificare il fondo.
Ritiene
il Collegio che, diversamente da quanto opinato dal primo giudice, la decisione
non possa assumersi sul mero rilievo che "Altrimenti nel caso di mancanza
di un responsabile individuato (id quod prelumque accidit), verrebbe del tutto
vanificata la previsione tassativa e fondamentale di cui al comma 1
dell'articolo 14 del d.lgs. n. 22 del 1997, cioè il divieto di depositi di
rifiuti sul fondo", epperciò assumendo che "Da tale norma, invero,
deriva un divieto generico, per i titolari di un diritto di godimento sugli
immobili, di adibirli o mantenerli a discarica o deposito abusivo di
rifiuti".
Ciò
sarebbe esatto se il legislatore avesse strutturato la concorrente
responsabilità del proprietario (rispetto a quella del terzo autore
dell'abbandono dei rifiuti) in termini meramente oggettivi - ossia in assenza
di alcun riferimento all'elemento soggettivo della fattispecie - perché in tal
caso, ma solo allora, l'interprete avrebbe potuto esattamente ravvisare
l'obbligazione di ripristino a carico del titolare di un diritto di godimento
sul bene quale "obbligazione propter rem".
Siccome
invece il diritto positivo, come si evince anche dalla semplice lettura delle
citate disposizioni, ha stabilito l'esatto contrario - ossia il legislatore ha
strutturato la fattispecie in esame in termini indiscutibilmente soggettivi,
radicando solo sulla riscontrata presenza di colpevolezza del proprietario la
sua concorrente responsabilità - in difetto di accertato concorso, con il terzo
autore dell'illecito, di una condotta colpevole del proprietario del fondo, non
è dato ricavare alcuna sua responsabilizzazione per la bonifica da effettuare.
Con
il corollario, evidentissimo sebbene implicito, che l'onere economico della
bonifica del fondo - comunque ovviamente necessaria - non potrà porsi a carico
del proprietario, ma resterà per forza di cose socializzato.
Né,
conclusivamente, è ipotizzabile ravvisare colpa nel fatto che il proprietario
non abbia recintato il fondo, per principio generale del diritto (cfr. art. 841
cod. civ.) la "chiusura del fondo" costituendo una mera facoltà del
proprietario, e dunque giammai un suo obbligo.
Tantomeno,
come pur si sostiene nella sentenza gravata, la colpa può ravvisarsi nel fatto
negativo di non avere il proprietario spontaneamente bonificato il proprio
fondo, perché un'interpretazione che ciò sostenga sarebbe in palese
circonvenzione rispetto all'inserimento normativo della colpevolezza
all'interno della fattispecie costitutiva della responsabilità di cui qui
trattasi.
Il
sistema, in altri termini, non è quello che l'interprete reputi "più
funzionale", ma quello che il legislatore ha positivamente tratteggiato.
Il
che, nella specie, porta a escludere che "il comma 1 dell'articolo 14 del
D.Lgs. n. 22 del 1997 ha introdotto una sorta di obbligazione propter rem di
diritto pubblico (in quanto funzionale al pubblico interesse e coercibile da
parte dell'amministrazione nell'ambito dei suoi poteri di polizia amministrativa),
a carico del proprietario o del titolare di un diritto reale sul fondo (ed
estesa anche ai titolari di un diritto personale di godimento, nel caso in cui
il contenuto di questo conferisca al suo titolare i poteri di disposizione
necessari per provvedere alla rimozione), per il caso in cui non sia stato
accertato il responsabile del deposito abusivo di rifiuti, e cioè qualora non
possa trovare applicazione la sanzione amministrativa ripristinatoria di cui al
successivo comma 3".
Perché,
se così fosse, si dovrebbe in effetti postulare che "essendo connessa alla
mera titolarità del diritto sul bene (in tal senso propter rem), allora, tale
obbligazione di ripristino sorge[rebbe] a carico del titolare, a prescindere
dalla sua responsabilità" in ordine alla formazione di un deposito abusivo
attraverso l'abbandono di rifiuti: ma, poiché ciò sarebbe l'esatto contrario di
quanto il legislatore ha positivamente stabilito inserendo la colpa tra gli
elementi costitutivi della fattispecie in discorso, se ne trae sicura conferma
della non condivisibilità dell'esegesi seguita dalla sentenza qui appellata.
L'accoglimento
del motivo esaminato consente di ritenere assorbiti quelli ulteriori. Si
rinvengono, tuttavia, validi motivi, in considerazione della particolarità
della fattispecie, per compensare integralmente le spese del giudizio tra le
parti.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente
pronunciando, accoglie l'appello in epigrafe e per l'effetto, in riforma della
sentenza gravata, annulla i provvedimenti impugnati in prime cure.
Spese
del doppio grado compensate.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma, il 2 dicembre 2008, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V)
riunito in Camera di Consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Domenico
La Medica Presidente