RIDETERMINAZIONE DEL TRATTAMENTO ECONOMICO
Conseguenze della mancata aggiudicazione di un appalto
REPUBBLICA
ITALIANA N. 3772/02 REG.DEC.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 8514 REG.RIC.
Il
Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 1995
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello
n. 8514 del 1995 proposto dal COMUNE di BRUSCIANO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dall’avv. Antonio Palma ed elettivamente domiciliato in Roma, Via
Circonvallazione Clodia n. 167, presso lo studio dell’avv. Lino Italo Natale,
contro
Fratiello
Agostino, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Palma ed elettivamente
domiciliato in Roma, Viale Angelico n. 38, presso lo studio dell’avv. Motzo,
per l'annullamento
della sentenza n. 491
in data 13 luglio 1995 pronunciata tra le parti dal Tribunale Amministrativo
Regionale per la Campania, Sezione III;
Visto il ricorso con i
relativi allegati;
Visto l’atto di
costituzione in giudizio della parte appellata;
Visti gli atti tutti
della causa;
Relatore il cons.
Corrado Allegretta;
Uditi alla pubblica
udienza del 26 febbraio 2002 l’avv. Antonio Palma e l’avv. Clarizia per delega
dell’avv. Giuseppe Palma;
Ritenuto e considerato
in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in
epigrafe indicata il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania ha
dichiarato il diritto della parte appellata, dipendente del Comune di
Brusciano, alla rideterminazione del trattamento economico ai sensi dell’art.
228 T.U.L.C.P. 3 marzo 1934 n. 383, con condanna al pagamento delle differenze
retributive, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla
maturazione del credito fino all’effettivo soddisfo.
Avverso la sentenza
propone appello il Comune, sostenendo che il principio di equa proporzione,
sancito dalla citata disposizione, non è suscettibile di applicazione dopo
l’entrata in vigore della normativa che demanda alla contrattazione collettiva
la determinazione del trattamento economico dei dipendenti comunali; neppure
con riguardo a periodi di servizio precedenti. La sentenza, inoltre, sarebbe
nulla per assoluta genericità del dispositivo.
Costituitasi in
giudizio, la parte appellata ha controdedotto al gravame, concludendo per la
sua reiezione perché infondato; con ogni conseguente determinazione anche in
ordine a spese e competenze di giudizio.
La causa è stata
trattata all’udienza pubblica del 26 febbraio 2002, nella quale, sentiti i
difensori presenti, il Collegio si è riservata la decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato.
Oggetto di giudizio è
la questione se sussista, o non, l’obbligo dell’appellante Comune a
rideterminare il trattamento economico dei propri dipendenti, per il periodo di
servizio anteriore all’entrata in vigore del D.P.R. 1 giugno 1979 n. 191, in
applicazione dell’art. 228 del T.U.L.C.P. 3 marzo 1934 n. 383, ai
sensi del quale “Gli stipendi ed i salari degli impiegati e salariati comunali
devono essere fissati in equa proporzione con quello del segretario comunale; e
quelli degli impiegati e salariati della provincia in proporzione con quello
del segretario provinciale”.
Al riguardo, è ormai
consolidato (cfr., tra le più recenti decisioni, Cons. St., Sez. V, 23 gennaio
2001 n. 196; 13 marzo 2000 n. 1304; id., 7 febbraio 2000 n. 664; id., 6 ottobre
1999 n. 1335) l’orientamento giurisprudenziale negativo, secondo il quale da
quando il trattamento economico del personale dipendente dei Comuni dev’essere
determinato con il sistema della contrattazione collettiva, con il recepimento
del contenuto dei relativi accordi nazionali da parte delle Amministrazioni e,
quindi, con il contestuale divieto di corrispondere trattamenti superiori a
quelli risultanti dagli accordi stessi, il principio dell’equa proporzione con
il trattamento del segretario comunale, di cui all’art. 228 del T.U. 3 marzo
1934 n. 383, non è più applicabile.
Si è rilevato, invero,
che detto principio è riconducibile ad un diverso sistema normativo, nel quale
gli enti locali potevano determinare, con atto autoritativo ed unilaterale, il
trattamento economico dei propri dipendenti. Facoltà che, tuttavia, è venuta
meno per il carattere immediatamente precettivo ed inderogabile, conferito ad
opera dell’art. 6 del D.L. 29 dicembre 1977 n. 946, convertito nella legge 27
febbraio 1978 n. 43, alla disciplina del rapporto di impiego del personale in
questione contenuta nel D.P.R. 1 giugno 1979 n. 191.
La determinazione del
trattamento giuridico ed economico del personale degli enti locali in
conformità degli accordi nazionali, per altro, risponde alla volontà
legislativa di individuare una nuova fonte esclusiva di regolamentazione a
garanzia dell’omogeneità del regime applicabile ed in vista del contenimento
della spesa pubblica, nel rispetto dei principi costituzionali d’imparzialità e
di buon andamento dell’azione amministrativa (cfr., tra le molte, Cons. St.,
Sez. V, 21 luglio 1999 n. 883; id., 15 settembre 1997 n. 978; id., 3 giugno
1996, n. 610).
Si tratta, quindi, di
una disciplina che, rafforzata dal principio di onnicomprensività della
retribuzione fissato dagli accordi, disancora il trattamento economico del
dipendente dal potere discrezionale dell’ente, risultando in tal modo
radicalmente incompatibile con la menzionata facoltà di riequilibrio previsto
dall’art. 228 citato.
Né può ritenersi che
questa facoltà sopravviva per i periodi anteriori alla riforma. Non si tratta,
invero, di applicare, ora per allora, una disciplina che fissa concreti livelli
retributivi, sulla quale eventualmente fondare diritti soggettivi ormai
immodificabili, bensì di postulare l’esercizio di un potere pubblico
definitivamente abrogato.
Poiché non v’è motivo
per dissentire dal riferito orientamento giurisprudenziale, né vengono addotti
in contrario validi argomenti, deve ritenersi legittimo il silenzio rifiuto
impugnato in primo grado.
Per le considerazioni
che precedono, l’appello dev’essere accolto e, in riforma della sentenza
gravata, va respinto il ricorso di primo grado.
Sussistono giusti
motivi per compensare tra le parti spese e competenze di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello in epigrafe e, per
l’effetto, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo
grado.
Compensa tra le parti
spese e competenze di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente
decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, nella camera di
consiglio del 26 febbraio 2002 con l’intervento dei Signori:
Alfonso Quaranta - Presidente
Corrado Allegretta - Consigliere rel. est.
Paolo Buonvino - Consigliere
Aldo Fera - Consigliere
Francesco D’Ottavi - Consigliere
L’ESTENSORE IL
PRESIDENTE
f.to Corrado Allegretta f.to Alfonso Quaranta
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