RIMBORSO SPESE LEGALI AI DIPENDENTI PUBBLICI
ASSUNZIONI LSU
TAR LOMBARDIA - MILANO, SEZ
TAR LOMBARDIA - MILANO, SEZ. I - sentenza 20 dicembre 2004
n. 6498 - Pres.
Quadri, Est. Monteferrante – Di Leo (Avv.ti Angiolini e Martinelli) c.
Ministero dell’Economia e delle Finanze (Avv.ra Stato) e Comando Generale della
Guardia di Finanza (n.c.) - (respinge).
FATTO
Nel ricorso, ritualmente proposto, è indicato come
ricorrente Di Leo Francesco, apparendo tuttavia ictu oculi che
l’indicato prenome (Francesco) è frutto di errore materiale, essendo il
ricorrente Di Leo Roberto: ciò si evidenzia dalla sottoscrizione del ricorso,
dal codice fiscale riportato nell’epigrafe del ricorso subito dopo il cognome
del ricorrente, dalla documentazione prodotta ed in specie dall’atto impugnato,
dovendosi aggiungere che l’errore materiale in parola è evidenziato nella
stessa documentazione prodotta dall’Amministrazione resistente.
Nel ricorso il sig. Di Leo Roberto espone quanto segue:
- di essere maresciallo capo della Guardia di Finanza;
- di essere stato assolto dal Tribunale di Brescia e poi
in appello dalla Corte d’Appello di Brescia, con sentenza definitiva, dai reati
che gli erano stati contestati (artt. 56-317 c.p., artt. 61, n. 2, 81, 479
c.p., artt. 61 n. 2, 81, 490 c.p., artt. 81, 110, 332 c.p., artt. 56, 317 c.p.,
artt. 81, 56, 346 c.p.);
- di aver corrisposto al difensore penale l’onorario di
euro 15.055,75;
- di aver avanzato richiesta di rimborso ex art. 18 d.l.
25 marzo 1997, n. 67, richiesta però respinta dal Comando della Guardia di
Finanza:
Contro il diniego di rimborso agisce quindi in sede
giudiziaria articolando un unico motivo di gravame consistente in violazione e
falsa applicazione dell’art. 18 d.l. 25 marzo 1997, n. 67, nonché della
circolare del Comando Generale n. 88000 del 19 marzo 2001, modificata ed
integrata con il radio messaggio n. 5698 del giorno 8.1.2002 – eccesso di
potere – travisamento dei fatti – assurdità. In particolare il ricorrente
evidenzia la erroneità della motivazione dell’Amministrazione secondo la quale
mancherebbe la connessione, dei fatti per i quali il ricorrente è stato assolto
in sede penale, con l’espletamento del servizio o l’assolvimento di compiti
istituzionali, ritenendo viceversa che i reati contestati (concussione, falsità
ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, soppressione,
distruzione e occultamento di atti veri, istigazione alla corruzione e
millantato credito) non possono riguardare fatti estranei all’assolvimento dei
compiti d’ufficio, con conseguente diritto ad essere rimborsato delle spese
legali.
L’Amministrazione resiste alle pretese del ricorrente
evidenziando in particolare la carenza del presupposto oggettivo di cui
all’art. 18 D.L. n. 67 cit. rappresentato dall’essere stato sottoposto a
giudizio "in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del
servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali". Tale previsione
normativa richiede infatti, ad avviso dell’Amministrazione resistente,
l’esistenza di un comprovato collegamento tra l’agire del soggetto ed il volere
dell’Amministrazione, in quel momento impersonificata dal suo dipendente,
nell’interesse della quale il servizio è stato espletato. L’attività posta in
essere dal Di Leo, e per la quale è stato sottoposto a procedimento penale, non
risponderebbe alle suddette caratteristiche, come dimostra il fatto che in relazione
agli eventi di cui alle imputazioni penali l’Amministrazione ha aperto
procedimento sanzionatorio nei confronti del Di Leo conclusosi con la
irrogazione di sanzione, allo stato sub iudice.
Chiamata alla pubblica udienza del 25 novembre 2004, relatore
il dott. Riccardo Giani, e sentiti i difensori delle parti coma da verbale
d’udienza, la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
La fattispecie sottoposta al vaglio del Tribunale riguarda
l’applicazione dell’art. 18 ("Rimborso delle spese di patrocinio
legale") del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito in legge 23 maggio
1997, n. 135, a mente del quale "le spese legali relative a giudizi per
responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di
dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi
con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali
e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità,
sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti
congrui dall’Avvocatura dello Stato".
Risulta controverso tra le parti la ricorrenza, nella
specie, del requisito normativo dell’essere il giudizio promosso "in
conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con
l’assolvimento di obblighi istituzionali". Il ricorrente ritiene che i
reati contestatigli, cioè i reati di concussione, falsità ideologica commessa
dal pubblico ufficiale in atti pubblici, soppressione, distruzione e
occultamento di atti veri, istigazione alla corruzione e millantato credito,
per definizione non possono riguardare fatti estranei all’assolvimento dei
compiti d’ufficio. L’Amministrazione resistente, di contro, ritiene che si
debba guardare alla sussistenza in concreto di un comprovato collegamento tra
l’agire del soggetto e il volere dell’Amministrazione stessa, che mancherebbe
nel caso di specie.
Deve essere evidenziato che la richiamata normativa di cui
all'art. 18 d.l. 25 marzo 1997 n. 67 è preordinata a sollevare i funzionari
pubblici dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse
all'espletamento della loro attività istituzionale, attraverso la previsione
del rimborso (e addirittura la possibile anticipazione) delle spese di
patrocinio legale qualora il processo si concluda con sentenza che ne escluda
la responsabilità (T.A.R. Liguria, sez. I, 22 agosto 2002, n. 882). Quindi
"la ratio sottesa alla norma in discorso è quella di tenere indenni
i soggetti che abbiano agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse
dell’Amministrazione, delle spese legali affrontate per i procedimenti
giudiziari strettamente connessi all’espletamento dei loro compiti
istituzionali, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione può
considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti
dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di
appartenenza" (Cons. Stato, III sez., 25 novembre 2003, parere n. 332/03).
In base alle suesposte considerazioni il requisito
normativamente previsto della connessione dei fatti addebitati al dipendente
pubblico con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi
istituzionali deve essere vagliato con attenzione, alla luce delle risultanze
degli atti del procedimento e/o del processo penale.
Il Collegio ritiene che sia condivisibile l’assunto
dell’Amministrazione secondo il quale il comportamento del ricorrente, anche
alla luce degli accertamenti compiuti dal giudice penale, e fermo restando la
sua inidoneità ad integrare gli estremi di reato così come risulta dalle
sentenze in atti, non può essere riportato nell’alveo della riferibilità al
volere dell’Amministrazione, nei termini sopra descritti, tanto ciò vero che
l’Amministrazione ha poi provveduto a valutare quegli stessi fatti – non
essendo ciò contestato dal ricorrente – in sede disciplinare.
A tal proposito è sufficiente evidenziare quanto emerge
dalla lettura della stessa sentenza della Corte d’Appello di Brescia n. 2331/01
in relazione alle due principali imputazioni formulate nei confronti del
ricorrente. In tale sentenza si evidenzia che:
- in relazione alla imputazione di concussione
(consistente, secondo il capo d’accusa, nel simulare la sussistenza di
accertamenti fiscali in corso e nel rappresentare il suo decisivo intervento
per evitare conseguenze pregiudizievoli in cambio di prestazioni sessuali ) la
Corte d’Appello evidenzia che "se è pacifico che Di Leo, oltre ad
inventarsi di sana pianta l’esistenza di una verifica fiscale, in atto o in
gestazione, a carico della ditta Ramera, ha messo in atto, con disinvolta
spregiudicatezza, una vera e propria pubblica messinscena, coinvolgendo in
finte verbalizzazione, oltre alla Ramera ed ai titolari della ditta
"inquisita", perfino il loro commercialista, nessun riscontro esterno
esiste in atti che lo scopo che si proponeva fosse, o potesse attendibilmente
essere, quello indicato dalla parte offesa"; più oltre nella stessa
sentenza si legge che "quanto all’argomento secondo il quale non vi
sarebbe alcuna altra attendibile spiegazione, al di fuori di quella emergente
dalle dichiarazioni della Ramera, della falsa rappresentazione architettata con
determinazione dall’imputato, fino alla stesura di verbali posticci, va
rilevato che proprio la gestione dell’incontro presso la commercialista da
parte del Di Leo" … "indica come attendibile l’ipotesi che egli
intendessi proporsi, nei confronti dei titolari della ditta, piuttosto che
della donna, come una sorta di consulente fiscale, autorevole per la stessa
qualifica rivestita, senza che vi siano peraltro sufficienti elementi per
concludere che mirasse a ricavarne qualche beneficio, direttamente economico, o
di altra natura….";
- in relazione alla imputazione di falso ideologico e
soppressione di verbali (consistente, secondo il capo di imputazione, nel redigere
due verbali di sommarie informazioni attestando falsamente che nel corso
dell’attività d’indagine l’Autorità Giudiziaria aveva autorizzato
l’acquisizione di documentazione bancaria e nel distruggere o comunque
occultare gli stessi) la Corte d’Appello evidenzia che "è da condividere
la decisione del Tribunale, che ha inquadrato i verbali formati da Di Leo in
quel contesto nella categoria dell’atto inesistente, privo quindi della tutela
penale assicurata agli atti pubblici, nella specie dagli artt. 479 e 490
c.p.".
Per quel che rileva in questa sede appare evidente, al di
là dell’assenza di responsabilità penale per i reati contestati, che in base
agli accertamenti svolti in sede penale non può certo affermarsi che i fatti
attribuiti al ricorrente, e sopra evidenziati con riferimento alle due
principali imputazioni, fossero da lui compiuti per l’assolvimento di compiti
istituzionali. Anzi la loro contrarietà ai doveri d’ufficio risulta supportata
dalla successiva apertura di procedimento disciplinare a carico del ricorrente
con irrogazione di sanzione, come documentato dall’Amministrazione resistente.
Né la sussistenza di uno specifico collegamento con l’attività d’ufficio del
ricorrente è stata sostenuta nel presente giudizio, limitandosi il Di Leo a sostenere
in modo apodittico che tale collegamento sarebbe implicito nel tipo di reato
originariamente attribuitogli.
In tal modo non risultano integrati gli elementi
costitutivi della fattispecie normativa di cui all’art. 18 D.L. 67/1997, non
risultando che i fatti attribuiti al ricorrente fossero da lui compiuti per
l’assolvimento di compiti istituzionali, e quindi riconducibili
all’Amministrazione di appartenenza, con la conseguente non applicabilità della
normativa sul rimborso delle spese legali da parte dell’Amministrazione
medesima invocata in questo giudizio.
Il ricorso deve quindi essere rigettato, con conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore
dell’Amministrazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, 1^
Sez., definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio in favore dell’Amministrazione resistente complessivamente liquidate
in euro 1.500,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità
amministrativa.
Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 25
novembre 2004, con l'intervento dei magistrati:
Dr. Elena Quadri presidente
Dr. Riccardo Giani referendario, est.
Dr. Luca Monteferrante referendario
Depositata in segreteria in data 20 dicembre 2004.
......