RINVIO DI UN CONCORSO E RISARCIMENTO DEL DANNO
ACCESSO ALLE PRATICHE DI CONDONO EDILIZIO
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ
CORTE
DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - sentenza 23 maggio 2006 n. 12147 - Pres. Losavio, Rel.
Vitrone - Ministero della Giustizia c. Romeo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 27 marzo 2001 Simona
Romeo conveniva in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Roma il Ministero
della Giustizia per sentirlo condannare al risarcimento dei danni derivanti dal
mancato espletamento delle prove scritte del concorso notarile indette per il
29 novembre 2000.
A sostegno della sua domanda l'attrice deduceva che si era
recata a Roma il 28 novembre, data fissata per la consegna dei codici e che il
giorno successivo era rimasta per nove ore nella sa la dell'Hotel Ergife, sede
prescelta per il concorso, poiché solo alle ore 17 le era stato comunicato che
lo svolgimento delle prove di esame era stato rinviato a data da destinarsi.
Con sentenza del 24-28 maggio 2002 il giudice di pace
condannava l'Amministrazione convenuta al pagamento della somma,
equitativamente stabilita, di €. 619,75, in base alla considerazione che il
Ministero della Giustizia non aveva fornito alcuna prova in ordine alla
circostanza che l'evento dannoso non fosse prevedibile e potesse essere evitato
senza costringere la candidata a sopportare il disagio di un trasferimento dal
luogo di residenza a Roma e di una inutile permanenza nella città sede degli
esami.
Contro la sentenza ricorre per cassazione il Ministero
della Giustizia con un solo motivo.
Resiste con controricorso Simona Romeo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente denuncia la violazione dei principi generali
dell'ordinamento e sostiene che l'equità formativa, in base alla quale il
giudice è tenuto a formulare sia la qualificazione del fatto sia la regola da
applicare al caso concreto, avrebbe comportato l'individuazione in via
preventiva di un interesse meritevole di tutela attraverso un giudizio di comparazione
degli interessi in conflitto la cui lesione, in assenza di cause di
giustificazione, comporterebbe il risarcimento del danno.
Inoltre la sentenza impugnata non avrebbe individuato un
interesse all'espletamento delle prove concorsuali nel giorno e nell'ora
indicata, né avrebbe accertato l'elemento della colpa, che costituisce eie
mento essenziale nell'accertamento dell'illecito poiché non avrebbe considerata
la circostanza - incontroversa tra le parti - che l'espletamento della prova
era stato sospeso a causa di una decisione cautelare del Consiglio di Stato che
aveva escluso dal concorso alcuni candidati a suo tempo ammessi per effetto di
una sentenza del giudice amministrativo di primo grado.
Afferma infine che mancherebbe qualsiasi motivazione in
ordine alla liquidazione equitativa del danno, tenuto conto del fatto che la
domanda originaria comprendeva anche la liquidazione del danno morale,
risarcibile solo se dipendente da reato.
La censura non ha fondamento poiché il ricorrente, facendo
riferimento al rispetto dei principi regolatori dell'ordinamento, non considera
che la legge Istitutiva del giudice di pace ha eliminato ogni riferimento ai
principi regolatori della materia - introdotto dall'art. 3 della legge 30
luglio 1984, n. 399, come limite dell'equità del conciliatore - e che la
giurisprudenza formatasi in materia, e culminata nella pronuncia delle Sezioni
Unite n. 716 del 1999, è pervenuta alle conclusioni che l'equità del giudice di
pace ha natura sostitutiva, non già correttiva o integrativa della regola di
diritto, sicché questi non è tenuto a seguire i principi regolatori della
materia ricavandoli in via di generalizzazione dalla norme specifiche dettate
dal legislatore per disciplinare il rapporto dedotto in giudizio né ad individuare
le norme giuridiche astrattamene applicabili, ma crea egli stes so la regola
della decisione con un giudizio di tipo intuitivo fondato su valori
preesistenti nella realtà sociale.
Tale interpretazione ha però provocato un intervento della
Corte costituzionale la quale, con sentenza additiva n. 206 del 2004,
applicabile al giudizio in corso, ha dichiarato l'illegittimità del capoverso
dell'art. 113 cod. proc. civ., così come interpretato dalla giurisprudenza,
nella parte in cui esclude che il giudice di pace debba osservare i principi
informatori della materia.
Nell'attuazione della pronuncia di incostituzionalità i
principi informatori della materia sono stati individuati da questa Corte
(sent. 17 gennaio 2005, n. 743) nei principi ai quali il legislatore si ispira
nel porre una determinata regola, i quali differiscono dai principi regolatori
della materia che vincolavano il giudice conciliatore poiché, mentre il
conciliatore doveva osservare le regole fondamentali del rapporto traendoli dal
complesso di norme preesistenti con le quali il legislatore lo aveva
disciplinato, il giudice di pace non deve osservare una regola equitativa
tratta dalla disciplina dettata in concreto, ma deve solo curare che essa non
contrasti con i principi cui si è ispirato il legislatore nel dettare una
determinata disciplina,
Il rispetto dei principi informatori non vincola perciò il
giudice di pace all'osservanza di una regola ricavabile dal sistema, ma
costituisce unicamente un limite al giudizio di equità al fine di evitare qualsiasi
sconfinamento nell'arbitrio: ne consegue che il ricorso per cassazione contro
le sentenza del giudice di pace deve essere diretto a denunciare non già
l'inosservanza di una regola bensì il superamento di quel limite e pertanto il
ricorrente non solo deve indicare chiaramente il principio informatore che si
assume violato ma deve anche specificare in qual modo la regola equitativa
posta a fondamento della pronuncia impugnata si ponga con esso in contrasto al
fine di consentire al giudice la verifica della sua esistenza e della sua
eventuale violazione.
Ciò premesso, va rilevato che la regola equitativa posta a
fondamento della decisione impugnata è quella secondo cui non può ritenersi
immeritevole di tutela la posizione di un candidato sia stato costretto a
trasferirsi in una città diversa da quella di residenza, a soggiornarvi e a
trattenersi per un tempo considerevole in un'aula di esami con la privazione
della propria libertà di movimento e sentirsi poi comunicare il rinvio a data
da destinarsi delle prove da espletare senza alcuna valida giustificazione
circa la inevitabilità dell'accaduto.
Tale regola non è stata censurata con l'indicazione della
violazione di alcun principio informatore della materia, violazione che nella
specie non è ravvisabile poiché non sussiste alcun contrasto della decisone del
giudice di pace con i principi informatori cui il legislatore si ispira in
materia di risarcimento, considerata l'evoluzione del concetto di danno
ingiusto, individuato nella lesione di un interesse giuridicamente rilevante
che non trovi giustificazione in un contrapposto interesse prevalente
dell'autore della condotta lesiva.
Tale interpretazione è, del resto, suffragata anche dalla
giurisprudenza del giudice amministrativo che ha riconosciuto il diritto al
risarcimento del danno patito da un'impresa aggiudicataria di una gara di
appalto in dipendenze del diniego di approvazione dell'aggiudicazione -
correttamente assunto in considerazione della mancanza dei fondi necessari alla
realizzazione dell'opera - a causa della scorrettezza del comportamento
dell'Amministrazione che non aveva disposto il rinvio della gara (Cons. Stato,
sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1457).
Né infine può ravvisarsi il vizio di carenza assoluta di
motivazione prospettato con riferimento alla liquidazione equitativa del danno
operata dalla sentenza impugnata, poiché la censura del ricorrente non si
appunta contro la mancata giustificazione dell'esercizio di un potere
discrezionale del giudice, ma denuncia piuttosto la violazione del disposto
dell'art. 1226 cod. civ. - non vincolante per il giudice di equità - il quale
consente la liquidazione equitativa del danno solo nei casi di motivata
impossibilità o di comprovata difficoltà di un'esatta determinazione del danno
risarcibile.
In conclusione, perciò, il ricorso non può trovare
accoglimento e deve essere respinto.
L'intervento del giudice delle leggi e l'evoluzione della
giurisprudenza sopraggiunti alla notificazione del ricorso costituiscono giusta
causa di compensazione delle spese giudiziali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dispone la compensazione
totale delle spese giudiziali.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2006.
Depositata in Cancelleria in data 23 maggio 2006.
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