RISARCIMENTI ANCHE SENZA IMPUGNATIVA
REVISORI: LINEE GUIDA PER LA TRASMISSIONE DEI RENDICONTI
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. UNITE CIVILI - ordinanza 13
giugno 2006 n. 13659
- Pres. Carbone, Rel. Picone - Cisilin c. Fasana e Università
degli Studi di Pisa.
RITENUTO IN FATTO
1. Alessandro Cisilin propone istanza per il regolamento
della giurisdizione in relazione a giudizio pendente dinanzi al Tribunale di
Firenze (R.g. n. 4464/03), promosso nei confronti dell'Università degli studi
di Pisa e di Enrico Fasana con citazione del 3 maggio 2003, per la condanna dei
convenuti, in solido, al risarcimento dei danni cagionatigli dall'illegittima
esclusione dal corso di dottorato di ricerca.
L'istante, premesso che le parti convenute avevano
eccepito il difetto di giurisdizione ordinaria, chiede che le Sezioni unite
della Corte di cassazione dichiarino competente il giudice ordinario.
2. Riferisce il Cisilin che, previa partecipazione al
concorso indetto dall'Università di Pisa, era stato ammesso al corso per il
conseguimento del dottorato di ricerca in storia, istituzioni e relazioni
internazionali dei Paesi extraeuropei, relatore e tutor il prof. Enrico
Fasana.
Durante lo svolgimento del corso, dopo il primo anno, il
prof. Fasana aveva assunto comportamenti di contrapposizione e ostacolo della
sua attività di ricerca, culminati nella presentazione di una relazione
sull'attività del dottorando "volutamente quanto ingiustamente
negativa".
Con decreto del rettore n. 01/1607 del 12.12.1999, era
stata disposta la sua esclusione dal proseguimento del corso sulla base della
relazione del prof. Fasana, approvata dal collegio dei docenti.
3. Resiste con controricorso Enrico Fasana, mentre non ha
svolto attività di resistenza l'Università; con le conclusioni scritte il
Pubblico ministero ha chiesto dichiararsi la giurisdizione del giudice
amministrativo trattandosi di pretesa risarcitoria consequenziale all'ambito di
giurisdizione riconosciuta al giudice amministrativo dall'art. 63, comma 4,
d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Hanno depositato memorie il Cisilin ed il Fasana.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte, a sezioni unite, in parziale difformità dalle
conclusioni del Pubblico ministero, regola la giurisdizione nel senso che
appartiene alla cognizione del giudice amministrativo la controversia promossa
nei confronti dell'Università degli studi di Pisa; alla cognizione del giudice
ordinario la controversia promossa nei confronti del prof. Enrico Fasana.
2. Va premesso che, nel caso di specie, non viene in
rilievo l'ambito attribuito alla giurisdizione amministrativa dall'art. 63,
comma 4, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, relativamente alle controversie in
materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni.
Il dottorato di ricerca, come disciplinato dal d.P.R. 11
luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia
di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica) - e successive
modificazioni e integrazioni - è titolo accademico che si consegue all'esito di
un corso preordinato a sviluppare autonome capacità di ricerca scientifica,
attraverso le quali evidenziare originalità creativa e rigore metodologico (e,
difatti, le relative prove di esame sono intese ad accertare l'attitudine del
candidato alla ricerca scientifica: art. 71, quarto comma, dello stesso d.P.R.
n. 382 del 1980). L'ammissione al corso, quindi, non instaura un rapporto di
lavoro, né ha natura retributiva l'eventuale borsa di studio attribuita al
dottorando.
3. Gli effetti dannosi sono collegati dal Cisilin sia alle
modalità di gestione del corso, sia, in particolare, al decreto rettoriale di
esclusione.
Secondo le disposizioni dell'art. 68 del d.P.R. n. 382 del
1980, in vigore all'epoca dei fatti (l'articolo è stato abrogato dall'art. 6,
1. 3 luglio 1998, n. 210, a far data dall'anno successivo all'entrata in vigore
del decreto ministeriale di cui all'art. 4, comma 2, della detta legge - D.M.
30 aprile 1999, n. 224 -), il titolo di dottore di ricerca è conseguito a
seguito di svolgimento di attività di ricerca, successive al conseguimento del
diploma di laurea, che abbiano dato luogo, con contributi originali, alla
conoscenza in settori uni o interdisciplinari; la stessa norma precisa i
contenuti degli studi; contempla, alla fine di ciascun anno, la presentazione
di particolareggiata relazione sull'attività e le ricerche svolte al collegio
dei docenti; prevede, infine, che la valutazione dell'assiduità e
dell'operosità possa portare a proporre al rettore l'esclusione dal
proseguimento del corso di dottorato di ricerca.
Non si può, perciò, dubitare della sussistenza di una
fattispecie di esercizio di attività autoritativa dell'amministrazione
universitaria, quanto all'ammissione al corso, alle verifiche e controlli sul
suo svolgimento, all'esclusione dallo stesso. La pretesa risarcitoria, quindi,
è stata proposta con riguardo all'uso dannoso della funzione amministrativa,
sia, come si diceva, in relazione alle modalità di organizzazione, indirizzo e
controllo dei corsi (si vedano le numerose illegittimità imputate al tutor,
prof. Fasano), sia, e soprattutto, con riguardo al provvedimento di esclusione
dal proseguimento del corso.
4. L'appartenenza alla giurisdizione amministrativa di
legittimità (che si configura anche in ambito di materie di giurisdizione
esclusiva) del controllo sulle determinazioni dell'amministrazione
universitaria in ordine ai corsi di dottorato, discende dalla sicura
attribuzione di "poteri" all'amministrazione, discrezionali, o anche
vincolati - in quanto radicati sopra giudizi tecnico-scientifici, espressioni
di discrezionalità cd. tecnica - siccome le norme escludono sicuramente la
configurabilità di pretese del dottorando protette con la consistenza del
diritto soggettivo quanto allo svolgimento dei corsi e al conseguimento del
titolo.
5. Le sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi sulla
questione di giurisdizione in tema di responsabilità civile della p.a. connessa
ad attività provvedimentale.
L'argomento, a partire dal D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80,
ha dato origine, com'è noto, ad un vasto dibattito in dottrina ed in
giurisprudenza, in particolare dopo le decisioni di parziale illegittimità
costituzionale pronunciate dal giudice delle leggi con le sentenze 6 luglio
2004 n. 204 e 28 luglio 2004 n. 281, sulla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo in relazione alla legge 21 luglio 2000, n. 205 ("Disposizioni
in materia di giustizia amministrativa"): decisioni alle quali si è di
recente aggiunta la sentenza 3 maggio 2006 n. 191, con cui è stato dichiarato
in parte illegittimo l'art. 53, comma 1, del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 327
("Testo unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazioni
per pubblica utilità").
Orbene, due sono gli aspetti di questo tema, cui le
sezioni unite sono chiamate a dare risposta: come, dopo la legge 205 del 2000,
è ripartita tra giudice ordinario e giudice amministrativo la tutela
giurisdizionale intesa a far valere la responsabilità della p.a. da attività
provvedimentale illegittima; se la parte si può limitare a chiedere il
risarcimento del danno, senza dover anche chiedere l'annullamento e quale sia
il regime di tale diversa forma di tutela giurisdizionale, una volta che la si
ammetta.
E, per una corretta impostazione del problema - sia sulle
modifiche del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice
amministrativo, intervenute negli anni dal 1992 al 2000, sia sugli effetti
della dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 33, commi 1 e 2, e 34,
comma 1, d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come novellati dall'art. 7 1. 21 luglio
2000, n. 205 - è opportuno prendere l'avvio dalle considerazioni svolte dalla Corte
costituzionale, nella sentenza 204, sui lavori preparatori della Costituzione.
6. In quella sede, come ha osservato la Corte, si ribadì
"l'indispensabile riassorbimento nella Costituzione dei principi
fondamentali della l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E", ispirati al
principio dell'unità della giurisdizione, ma vi emerse il contrasto tra la tesi
- perdente - a favore del giudice unico ("l'esercizio del potere
giudiziario in materia civile, penale e amministrativa appartiene
esclusivamente ai giudici ordinari") e quella vincente, per il
mantenimento di giudici diversi da quelli ordinari, quali Consiglio di Stato e
Corte dei conti ("una divisione dei vari ordini di giudici.. ognuno dei
quali fa parte a sé").
La regola tradizionale del riparto della giurisdizione -
se si tratta di diritti soggettivi la giurisdizione è del giudice ordinario, se
è fatto valere un interesse legittimo la giurisdizione appartiene al giudice
amministrativo - trova il proprio antecedente storico e logico negli artt. 2 e
4 1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, tuttora vigenti.
Se la legge è uguale per tutti, anche per la p.a., il
cittadino che ha subito un pregiudizio ad un suo diritto può rivolgersi al
giudice ordinario e il giudice si limiterà a conoscere gli effetti dannosi
dell'atto amministrativo, senza sindacare le scelte discrezionali, del tutto
autonome, della p.a.
La legge del 1865 realizza così il principio dell'unità
della giurisdizione, ma questa regola si rivelerà non idonea ad assicurare una
tutela adeguata al cittadino, sia per la grande quantità di controversie che la
legge abolitiva del contenzioso riservava all'autorità amministrativa, così
sottraendola al sindacato giurisdizionale, sia per una certa timidezza del
giudice ordinario nel dare applicazione ai princìpi sanciti dall'allegato E
della legge del 1865. E in questa situazione che, nel 1889, si registra la
scelta per l'introduzione del sindacato sugli atti amministrativi da parte di
un organo consultivo, il Consiglio di Stato, la cui natura giurisdizionale viene
poi esplicitamente affermata con la legge n. 642 del 1907 istitutiva della V
Sezione del Consiglio di Stato. L'area delle situazioni tutelabili davanti a un
giudice è in tal modo ampliata. L'assetto cosi realizzato trova conferma nel
t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 sul Consiglio di Stato. Questo assetto non viene
d'altro canto inciso dalla introduzione della "giurisdizione
esclusiva".
La giurisdizione sui diritti è devoluta al Consiglio di
Stato in casi tassativamente enumerati, a conferma della regola generale posta
alla base del riparto. Si tratta di una giurisdizione esclusiva, obiettivamente
diversa, allora, da quella voluta dal legislatore in questi ultimi anni.
Limitata a pochi "casi di confine", la sua introduzione è spiegata
con la difficoltà di distinguere nell'aggrovigliato intreccio tra diritti
soggettivi e interessi legittimi, anche se la sua introduzione stava ad
indicare un chiaro recupero della logica propria del contenzioso amministrativo
abolito nel 1865.
Tale è l'assetto cristallizzato nella Costituzione del
1948, che all'art. 24 dà riconoscimento sostanziale alla tutela sia del diritto
soggettivo che dell'interesse legittimo e mentre all'art. 103, primo comma,
limita la giurisdizione del giudice amministrativo in tema di diritti
soggettivi alle "particolari materie" indicate dalla legge, nell'art.
113 rimette alla legge di indicare il giudice che può annullare l'atto
amministrativo e le conseguenze dell'annullamento.
Questo assetto continua a riflettersi nella legislazione
successiva, sino al d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80.
Invero, come nei nove "particolari" casi
enucleati nell'art. 8 r.d. 30 settembre 1923, n. 2840 (ribaditi negli artt. 29
del tu. 1054 del 1924 e 7 della 1. 1034 del 1971) così in quelli
successivamente introdotti (tra gli altri: art. 11 1. 1185/1967;
art. 16 1. 10/1977; art. 35 1. 47/1985; art. 11 1. 210/1985; artt. 11 e 15 1.
241/1990; art. 33.1. 1.287/1990; art. 7.11. d.lgs. 74/1992; art. 4.7. 1. 109/1994; art. 2.25. 1.
481/1995; art. 1.26. 1. 249/1997), sono sempre rimaste riservate al giudice
ordinario le questioni attinenti ai diritti patrimoniali conseguenziali,
compreso il risarcimento del danno.
Ma, vale la pena di notarlo, è in questo assetto normativo
che la giurisprudenza ha nel tempo elaborato, e con costanza applicato, i
principi dell'irrisarcibilità dell'interesse legittimo, della degradazione del
diritto ad interesse e della pregiudizialità amministrativa.
Sicché non sarà senza ragione, se questo assetto normativo
ed il bagaglio dei concetti che sono valsi a dargli spiegazione, apparirà
richiedere modifiche, una volta che si affermerà, con il d.lgs. 80 del 1998, la
contraria regola della risarcibilità dell'interesse legittimo.
7. Facendo un passo indietro e tornando al riparto delle
giurisdizioni, va detto che il dibattito restava aperto, non tanto sull'ubi
consistam del riparto, non più contestato, quanto sull'esatta
individuazione dei rispettivi territori, dei diritti e degli interessi, che non
vivevano in mondi separati, poiché gli uni e gli altri costellavano il rapporto
tra privato e p.a., vagando da un rapporto di coesistenza ad uno di
successione, in situazioni dal confine incerto, a volte dubbio, di "facile
trapasso" (Cass., sez. un., 5 dicembre 1987 n. 9095 e 9096).
Il sistema - al di là di qualche decisione provocatoria
della Cassazione, rimasta isolata (Cass., sez. I, 3 maggio 1996 n. 4083), o di
eccezioni di incostituzionalità, poi disattese (Corte cost., 8 mag......