SILENZIO DELL'AMMINISTRAZIONE SULL'ISTANZA DEL DIPENDENTE
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REPUBBLICA ITALIANA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione
I^, composto dai seguenti magistrati
-CALABRO’ Corrado, Presidente;
-POLITO Bruno Rosario, Consigliere
relatore;
-PANZIRONI Germana, Consigliere;
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 116/2003 proposto da ROMANO Massimo, rappresentato e difeso dagli avv.ti Fabrizio Spagnolo e
Valerio Biondi ed elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, via A.
Depretis, n. 25;
contro
la Presidenza del Consiglio dei
Ministri e la Corte dei Conti, costituitesi in giudizio, rappresentati e difese
dall’Avvocatura Generale dello Stato
per l’accertamento
del diritto a percepire nella posizione di Consigliere
della Corte dei Conti un trattamento economico pari ad euro 154.937,07, od alla
somma ritenuta di giustizia, corrispondente al trattamento fondamentale
percepito nell’incarico di Direttore dell’Agenzia delle Entrate all’atto
passaggio di amministrazione, come da richiesta diffida notificata alla Corte
dei Conti ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 13.09.2002;
e per la condanna
delle amministrazioni intimate ad emanare i provvedimenti
di competenza agli effetti di cui innanzi ed al pagamento delle differenze
retributive maturate a partire dalla nomina a Consigliere della Corte dei Conti
con maggiorazione per interessi e rivalutazione monetaria;
Visto il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza
del Consiglio dei Ministri e della Corte dei Conti;
Visti gli atti tutti della causa;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle
rispettive difese;
Nominato relatore per la camera di consiglio del 16 aprile
2003 il Consigliere Bruno Rosario Polito
;
Uditi i difensori delle parti come da
verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con
ricorso proposto avvalendosi del rito speciale introdotto dall’art. 2 della
legge 21.07.2000, n. 205, per reagire all’inerzia a provvedere dell’Amministrazione
il dott. ROMANO Massimo - già dirigente di 1^ fascia del ruolo unico dei
dirigenti delle amministrazioni dello Stato con incarico di Direttore
dell’Agenzia delle Entrate e nominato con D.P.R. 13.04.2000 Consigliere della
Corte dei Conto –espone che nella nuova posizione impiego gli è stato
riconosciuto un trattamento economico di euro 82.496,21, oltre indennità
integrativa, di misura inferiore a quello percepito in qualità di dirigente
dello Stato pari ad euro 154.937,07. Aggiunge di aver notificato in data
13.09.2002 atto di diffida all’adozione del provvedimento di riconoscimento del
trattamento di attività in misura pari a quello percepito presso
l’Amministrazione di provenienza.
Non
essendo intervenute determinazioni esplicite formula in via principale domanda
tesa all’accertamento del diritto a percepire il maggior trattamento
retributivo in relazione al divieto di “reformatio in pejus” sancito dagli
artt. 202 del t.u. 10.01.1957, n. 3, e 3, comma 57°, della legge n. 537/1993.
Deduce,
inoltre, l’illegittimità del silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione in
ordine all’istanza/diffida per violazione dell’art. 2 della legge 07.08.1990,
n. 241, e del termine stabilito con deliberazione della Corte dei Conti del
07.06.1995 per la conclusione del procedimento.
Si sono
costituite in giudizio la Corte dei Conti e la Presidenza del Consiglio dei
Ministri che hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto diversi profili
e l’infondatezza nel merito della domanda di accertamento del diritto al più
elevato trattamento retributivo.
Alla
camera di consiglio del 16 aprile 2003 il ricorso è stato trattenuto per la
decisione.
DIRITTO
1). E’
noto che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con decisione n. 1 del
19.01.2002 – a conferma di orientamenti ripetutamente espressi dai giudici di
prime e seconde cure – ha chiarito che il ricorso proposto avverso il silenzio
rifiuto avvalendosi dall’art. 21 bis della legge 21.07.2000, n. 205, configura
un mezzo processuale di carattere speciale ed urgente teso a reagire
all’inerzia dell’Amministrazione ad adottare un provvedimento esplicito nelle
ipotesi in cui sussista un diritto o interesse del privato all’emissione della
determinazione dell’organo interpellato.
L’accertamento
giudiziale deve pertanto essere limitato, anche nelle ipotesi di atto
vincolato, alla sola verifica della sussistenza o meno dell’obbligo di adottare
il provvedimento esplicito richiesto e non si estende all’accertamento della
fondatezza sul piano sostanziale della pretesa dell’istante con esercizio da
parte del giudice adito di potestà riservate agli organi di amministrazione
attiva.
E’
pertanto incompatibile con il modello processuale introdotto dall’art. 2 della
legge n. 205/2000 - caratterizzato dalla brevità dei termini per la sua
definizione, dalla limitazione del contraddittorio e dell’istruttoria alla sola
verifica dell’assolvimento dell’obbligo a provvedere e da una decisione con
motivazione succinta – nonché con lo stesso oggetto del giudizio come innanzi
individuato, la formulazione di istanze di annullamento di provvedimenti
amministrativi, ovvero di accertamento di diritti nei confronti della P.A., che
vanno invece proposte avvalendosi del rito ordinario disciplinato dagli artt.
19 e segg. della legge 06.12.1971, n. 1034.
Per
quanto su esposto, conformemente a quanto eccepito dalle resistenti
amministrazioni, va dichiarata l’inammissibilità della domanda dal ricorrente
tesa all’accertamento del diritto alla percezione del più elevato trattamento
economico nella posizione di Consigliere della Corte dei Conti ed alla
conseguente condanna delle amministrazioni predette al pagamento delle
differenze retributive maturate con relativi accessori per interessi e
rivalutazione monetaria.
2). Non
va condivisa l’eccezione formulata in via subordinata dalla resistente difesa
secondo la non sarebbe consentito il ricorso al rito accelerato introdotto
dall’art. 2 della legge n. 205/2000 per tutelare situazioni di diritto
soggettivo perfetto nei confronti della P.A.
Il
menzionato art. 2 individua l’oggetto del procedimento d’urgenza ivi
regolamentato con riferimento al “silenzio dell’amministrazione”. Si tratta di
nozione che nella sua ampia accezione è comprensiva di ogni condotta omissiva,
in presenza dell’interesse del privato ad una determinazione esplicita
dell’organo pubblico interpellato, che può coinvolgere posizioni sia di diritto
soggettivo che di interesse legittimo. La norma processuale non introduce
quindi, quanto alla legittimazione al ricorso, alcuna discriminazione con riguardo
alla situazione soggettiva sostanziale che il privato ha inteso tutelare.
Del resto
lo strumento processuale di cui si discute è indirizzato a rendere effettivo il
principio di certezza dei termini del procedimento amministrativo, recepito sul
piano ordinamentale dall’art. 2, secondo comma, della legge 07.08.1990, n. 241.
L’esigenza di conclusione del procedimento con un provvedimento esplicito entro
termine congruo deve pertanto essere garantita, avvalendosi dello speciale
mezzo di gravame all’uopo apprestato, quale che sia la natura della situazione
soggettiva in base alla quale sia stato sollecitato l’intervento dell’organo
pubblico.
Non va
condivisa la tesi, articolata sempre a sostegno dell’inammissibilità del
ricorso, secondo la quale, nei casi di inerzia a provvedere della P.A. in
ordine a pretese sostanziali di diritto soggettivo, il giudice adito dovrebbe
in ogni caso preliminarmente verificarne la fondatezza, perché contrasta con il
contenuto del giudizio che segue al ricorso proposto ai sensi dell’art. 2 della
legge n. 205/2000, che ha carattere esterno ed investe i presupposti per la
qualifica......