STIPULA DI UN MUTUO PER FINANZIARE DEBITI FUORI BILANCIO
Limitazione delle spese per studi e consulenze
REPUBBLICA ITALIANA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE D’APPELLO PER LA REGIONE
SICILIANA
Composta da
Dott. Antonino Sancetta
Presidente
Dott. Salvatore Cilia
Consigliere
Dott. Luciana Savagnone
Consigliere
Dott. Mariano Grillo
Consigliere relatore
Dott. Adriana
Parlato
Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N.09/A/2010
sul ricorso in appello in materia di responsabilità amministrativa iscritto
al n. 3142 del registro di segreteria presentato dai signori Ragusa Antonio, Amore
Santo, Distefano Salvatore, Corsaro Agata Antonina, Borzì Antonio
Salvatore, Moschetto Pasquale, Asero Gaetano, Tropea Francesco,
rappresentati e difesi dall’avv. Salvatore Buscemi ed elettivamente domiciliati
presso lo studio Allotta in Palermo, via D. Trentacoste n. 89, contro il Procuratore regionale della Corte dei conti per
la Regione Siciliana e per la riforma della sentenza n. 1042 del 23 aprile
2009, emessa dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione
Siciliana.
Uditi all’udienza del 26 novembre 2009 il relatore, consigliere Mariano
Grillo, l’avvocato Buscemi per le parti appellanti, e il vice procuratore
regionale Salvatore Marcinnò per il pubblico Ministero.
Visti gli atti della causa.
FATTO
La Procura Regionale presso la sezione giurisdizionale
della Corte dei conti per la regione siciliana ha convenuto in giudizio di
responsabilità i signori Tropea Francesco, Moschetto Pasquale, Amore Santo,
Borzì Antonio Salvatore, Distefano Salvatore, Corsaro Agata Antonina, Asero
Gaetano e Ragusa Antonio, componenti del Consiglio Comunale di Nicolosi, per
sentirli condannare al pagamento a favore del suddetto Comune della somma di €
7.180,46 pro-capite, per un importo complessivo di € 57.443,68, oltre
rivalutazione monetaria, interessi e spese di giudizio, per avere adottato le
delibere n. 115/2003 e n. 117/2003 finalizzate alla stipula di mutui per
coprire debiti fuori bilancio a seguito delle sentenze n. 547 e 4298 del 2002
con le quali il tribunale di Catania condannava l’amministrazione comunale di
Nicolosi alla restituzione di un immobile illegittimamente occupato e al
pagamento della relativa indennità in un procedimento espropriativo mai portato
a termine, al risarcimento del danno per occupazione appropriativi di un
immobile e al pagamento dell’indennità di occupazione legittima oltre gli
accessori e le spese legali dei procedimenti giudiziari nei quali
l’amministrazione comunale era rimasta soccombente.
Rilevava il Procuratore generale che a seguito
dell’adozione delle suddette delibere, l’amministrazione comunale si era
indebitata contraendo mutui che venivano concessi dalla Cassa Depositi e
prestiti rispettivamente per l’importo di euro 39.498,89 e di euro
196.902,45 derivanti da spese di parte corrente e non per investimenti, in
violazione dell’art. 119, comma 6, della Costituzione, come novellato dalla
legge costituzionale n. 3/2001, entrata in vigore l’08.11.2001.
In particolare rilevava che con la delibera n. 115 del
2003 non vi era stato alcuna acquisto di immobile a favore del comune e che la
somma versata per indennità di occupazione non costituiva spesa di investimento
e comunque l’indebitamento era stato disposto anche per le spese legali e gli
interessi, e che il pagamento di poste analoghe disposto con la delibera n. 117
del 2003 non potevano considerarsi, congiuntamente alle spese legali, spese di
investimento.
In conclusione chiedeva alla sezione giurisdizionale
che nei confronti dei convenuti fosse irrogata la sanzione pecuniaria prevista
dall’art. 30, comma 15, della legge n. 289/2002, nella misura indicata nella
richiesta di condanna.
La sezione giurisdizionale di primo grado ha ritenuto
che l’adozione delle delibere predette erano state adottate in violazione dell’art. 119, comma 6, della Costituzione “giacché
non possono considerarsi spese di investimento quelle relative al pagamento
dell’indennità di occupazione legittima di un fondo poi restituito al
proprietario, unitamente agli interessi legali (sentenza n. 547/2002), né,
tantomeno, quelle relative al pagamento dell’indennità di occupazione temporanea
illegittima di un fondo, successivamente acquisito al patrimonio comunale per
effetto dell’istituto dell’occupazione appropriativa, oltre gli interessi
legali (sentenza n. 4298/2002), né certamente le spese legali da liquidare alle
parti vittoriose (diritti, onorari, i.v.a., c.p.a., compenso per il consulente
tecnico, registrazione sentenza ecc…)”.
I primi Giudici hanno quindi precisato che i debiti fuori bilancio dovevano
considerasi “maturati” al momento in cui erano state depositate le sentenze civili
di condanna, rispettivamente 07.05.2002 ed il 23.12.2002, quindi oltre il
termine di cui all’art. 14, comma 4, della legge n. 448/2001, individuato nella
data dell’08.11.2001, momento di entrata in vigore della legge costituzionale
n. 3/2001, ed ha ritenuto connotata di colpa grave la condotta dei convenuti
dato il chiaro tenore della norma suddetta, sia quanto alla qualità delle spese
deliberate che, “ictu oculi” non potevano ritenersi spese di investimento
(spese legali e accessori); sia quanto al “discrimen” temporale considerato
nell’art. 41, comma 4, della legge n. 448 del 12001.
Hanno ritenuto inoltre che l’estrema negligenza con la quale hanno agito i
convenuti si ricava dalla circostanza che alcuni consiglieri avevano
evidenziato la non finanziabilità con ricorso la mutuo delle suddette
somme, anche alla luce delle circolari della Cassa depositi e prestiti, e che
la proposta di trovare altrove la fonte del finanziamento non fosse praticabile
e che per gli interessi era proponibile una rateazione, non potendo essere
finanziati con l’indebitamento.
Considerata infine l’irrilevanza del parere di regolarità tecnica e quello
del Collegio dei revisori, hanno ritenuto congruo il moltiplicatore pari a
sette volte dell’effettivo introito mensile corrisposto agli amministratori ed
hanno condannato i signori Tropea ed Asero a pagare ciascuno al comune di
Nicolosi la somma di euro 7.180,46 ed i signori Moschetto, Amore, Borzì,
Distefano, Corsaro e Ragusa a pagare allo stesso comune di Nicolosi
ciascuno la somma di euro 580,23, con rivalutazione monetaria da calcolarsi
secondo gli indici ISTAT dal 30.9.2003 fino al giorno del deposito della
sentenza e con gli interessi legali sulla somma rivalutata dal predetto
deposito al soddisfo. Li hanno inoltre condannati al pagamento in solido delle
spese del giudizio che hanno liquidato in euro 824,43.
Con l’atto d’appello i ricorrenti con un primo motivo
censurano il capo III della sentenza con riguardo al profilo oggettivo della
fattispecie sanzionatoria. Al riguardo osservano che il Collegio giudicante ha
ritenuto che sia la deliberazione consiliare n. 115, sia la n. 117 del
30.9.2003, adottate dal consiglio comunale di Nicolosi hanno violato l’art.
119, comma 6 della Costituzione, consentendo il ricorso all’indebitamento per
finanziare spese non riconducibili ad investimento, individuate nel solo
risarcimento per occupazione temporanea illegittima oltre gli interessi e spese
di giudizio ed affermano che non avrebbe invece considerato tale l’indennità
per il quinquennio di occupazione legittima pari a € 36.812,33. Dichiarano
inoltre che In ogni caso, all’atto della quantificazione dell’illecito
indebitamento i primi Giudici hanno sposato acriticamente le tesi della procura
e non hanno scomputato dal danno erariale tale somma. Concludendo che comunque
quanto alla data di maturazione dei debiti, alla luce delle pronunce delle
Sezioni Riunite, alla data di adozione delle deliberazioni non era chiaro che
tale termine fosse maturato successivamente alla entrata in vigore della legge
costituzionale n. 3 del 2001, tant’è che la Cassa depositi e prestiti non ha
negato il finanziamento.
Con un secondo motivo la censura è rivolta al
IV capo della sentenza ed è relativo al profilo soggettivo della fattispecie
sanzionatoria, che la sezione di primo grado ha ritenuto caratterizzato da
colpa grave, ritenendo la normativa in tema di indebitamento da sempre
assolutamente inequivoca e di intuibile comprensione. Se così fosse stato,
osserva la difesa, sarebbe stato inutile adire le Sezioni riunite e ciò
significa che non così immediata doveva essere la percezione delle nozioni di
“indebitamento” e di “investimento” da parte dei consiglieri comunali alla data
di adozione delle deliberazioni e la formula “debiti maturati” non risultava
indicativa di un concetto giuridico univoco e determinato. Aggiungono che la
Cassa Depositi e prestiti ha concesso i mutui attualizzando il debito il
7.11.2001 e che i pareri tecnici hanno svolto un ruolo fondamentale nella
convinzione dei consiglieri e in particolare quello del settore tecnico
finanziario che aveva rappresentato l’inesistenza di entrate di bilancio o
avanzi di amministrazione che consentissero il pagamento a ripiano del debito
fuori bilancio.
Con un terzo motivo, infine, la sentenza è censurata
con riferimento al moltiplicatore della sanzione che, a fronte delle
circostanze già descritte, non può ritenersi congruo.
In conclusione chiedono l’annullamento o la riforma
della sentenza appellata ed in via principale rigettare la domanda del procuratore
regionale in subordine esercitare il potere di riduzione dell’addebito.