USO PRIVATO DEL TELEFONO DI SERVIZIO
PROJECT FINANCING: DOCUMENTI PER IL BANDO DI GARA
Corte di Cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 29 aprile-20 maggio
2009 n
Corte
di Cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 29 aprile-20 maggio 2009 n. 21165
Presidente Lattanti - Relatore Agrò
MASSIMA
Dipendente pubblico - Articolo 314 del Cp - Reato di peculato - Utilizzo
improprio del telefono della pubblica amministrazione per motivi personali -
L'importo rilevante delle telefonate esclude l'uso episodico del telefono per
fini privati L'abuso del telefono per chiamate private per un dipendente
pubblico rappresenta un reato di peculato. Tale reato si può configurare solo
nei confronti di un dipendente pubblico perché la norma punisce il pubblico
ufficiale che si appropria di denaro «in ragione del suo ufficio»; i giudici di
legittimità, inoltre, chiariscono come l'uso del telefono per le chiamate
private non sia completamente bandito ai dipendenti della pubblica
amministrazione che, in virtù di una prassi ministeriale consolidata, possono
fare delle chiamate ma solo per «costringenti e rilevanti esigenze personali».
Ritenuto
in fatto
1.
La Corte d'Appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, ha
confermato la condanna di & omissis & per reati di peculato continuato
e di abuso di ufficio continuato. Il primo in quanto segretario del reparto di
otorinolaringoiatria dell'ospedale & omissis & di Palermo, effettuava
tra l'aprile 2000 e il maggio 2002 numerose telefonate di carattere privato,
anche verso paesi esteri come la Romania, la Germania, l'Ucraina e la
Jugoslavia, per un importo complessivo di 2.354,39 ?. Il secondo perché, negli
anni 2001 e 2002, aveva favorito la conclusione di contratti di fornitura di
materiale sanitario di valore non superiore al milione di lire tra l'ospedale
indicato e una società di cui il figlio era socio accomandatario e lui stesso
socio accomandante.
2. Ricorre& omissis &, in primo luogo e con
riferimento al peculato, lamenta la violazione della legge penale, in quanto
l'utilizzazione a fini privati di un'utenza telefonica assegnata in uso non
comporta appropriazione di bene pubblico, ma dà luogo soltanto all'addebito
alla p.a. delle somme corrispondenti all'entità della utilizzazione. D'altra
parte non era stato considerato se, dato il lungo lasso di tempo in
considerazione, le telefonate contestate potevano rientrare nella categoria di
quelle fatte per infrequenti e occasionali esigenze private, per le quali v'è
una deroga al generale divieto di uso personale del telefono di ufficio.
Sempre con riferimento al peculato, con un secondo motivo sostiene che male
sarebbe stato ritenuto sussistente l'elemento psicologico del reato, invece da
escludersi per effetto di una circolare prodotta in appello e non presa in
considerazione nell'erroneo convincimento che la produzione tardiva ne
eliminasse la rilevanza. Questa circolare del 2 luglio 1997 prevedeva la
notifica, a fine mese, del traffico telefonico alle unità operative, le quali
avrebbero quindi dichiarato il consumo riferibile a motivi personali. Ed a tale
provvedimento s'era attenuto il ricorrente, il quale non aveva dunque alcun
obbligo di attivazione per il pagamento, ma ben poteva attendere la notifica
del traffico mensile e quindi segnalare gli eventuali addebiti a proprio
carico.
3. Con riguardo all'abuso d'ufficio il ricorrente non nega che
nella specie s'era in presenza di un obbligo di astensione, ma assume che la
sua condotta non era improntata a favorire la ditta indicata bensì al
conseguimento dell'interesse pubblico di acquisire sollecitamente e a prezzi
congrui la fornitura di prodotti sanitari. In tal modo non vi sarebbe alcuna
ingiustizia nel vantaggio patrimoniale arrecato e in ogni modo mancherebbe il
dolo intenzionale previsto dall'art. 323 c.p.
4. Infine e subordinatamente sostiene che nell'uso del
telefono dovrebbe, semmai, ravvisarsi un peculato d'uso e non un peculato
ordinario,
Considerato in diritto
1. Il ricorso è privo di fondamento.
Iniziando dagli aspetti oggettivi del peculato, non v'è motivo di discostarsi
dall'orientamento costante di questa Code, per il quale l'uso privato
dell'apparecchio telefonico comporta l'appropriazione (non restituibile) delle
energie necessarie alla comunicazione, di cui l'impiegato ha disponibilità per
ragioni di ufficio, e configura pertanto l'ipotesi di cui al primo comma
dell'art. 314 c.p. (cfr., per es., Cass. sez. VI, 7 novembre 2000, Veronesi).
Nella specie, d'altronde, non si verte in quella utilizzazione episodica ed
economica del telefono, fatta per contingenti e rilevanti esigenze personali,
che rende la condotta inoffensiva. Infatti è dato leggere nella sentenza
impugnata che il ricorrente si serviva sistematicamente dell'apparecchio, non
per pressanti esigenze di relazione, ma per soddisfare la sua sfera ludica
(frequenti contatti, anche internazionali, con appassionati della caccia) e che
il valore delle energie sottratte è stato di ? 2.354,39, somma indubbiamente
oltre i limiti, anche a frammentarla per i due anni della contestazione.
2. Quanto poi ai profili soggettivi, a per escludere il dolo
del reato, trae argomento da una circolare del 2 luglio 1997, in base alla
quale il dipendente alla fine del mese avrebbe dovuto segnalare quali
comunicazioni erano riferibili a motivi personali. Afferma che, stando al
tenore di simile atto, egli era in buona fede, quando riteneva di essere
autorizzato all'uso fatto, salvo rimborso.
Al riguardo va rilevato che non è vero che la sentenza non si è occupata di
questa circolare perché ha ritenuto che fosse stata prodotta tardivamente, come
oggi si sostiene nel ricorso. Essa invece la ha implicitamente ritenuta
ininfluente alla pari di ulteriori due note di analogo tenore del 7 luglio 2004
e del 6 aprile 2006, pure invocate dal ricorrente. Infatti, dovendosi leggere
questi provvedimenti in armonia con il sistema penale e con il codice di
comportamento dei dipendenti della P.A., non si può ritenere che essi
consentissero ad libitum l'impiego privato del telefono d'ufficio, ma che, ai
fini di un controllo amministrativo, intendessero invece porre a carico del
soggetto l'onere di indicare proprio quelle sporadiche comunicazioni dovute ad
esigenze contingenti, che pure sono ammesse, come s'è detto trattando dei
profili oggettivi del reato. Pertanto un possibile equivoco da parte del
ricorrente non configurerebbe comunque un'assenza di dolo ma un'ignoranza non
scusabile della legge penale. E in ogni modo - ben sottolinea la decisione
impugnata - & omissis & era certo caduto in un equivoco interpretativo,
dato che non aveva mai segnalato le chiamate di natura privata da lui
effettuate.
3. In ordine all'abuso di ufficio, il ricorrente cita quella
giurisprudenza sull'elemento soggettivo del reato, che va escluso quando
l'intento principale perseguito sia quello di soddisfare un fine pubblico,
anche nella consapevolezza di recare un ingiusto favore a un singolo soggetto
(Cass, sez.VI, 22 novembre 2002, Casuscelli Di Tocco),
Tale citazione non coglie tuttavia nel segno perché simile principio si applica
soltanto a coloro cui è commessa la cura dell'interesse pubblico in questione e
nella specie non risulta che al ricorrente, segretario di reparto, fosse
demandato occuparsi delle forniture dell'ospedale né& omissis &, ha
sostenuto di essere a ciò competente. D'altra parte la giurisprudenza citata
muove dal presupposto che il mezzo prescelto sia l'unico in grado di realizzare
l'interesse, mentre è chiaro che nel caso in esame la fornitura poteva
realizzarsi in una pluralità di modi e con molteplici soggetti.
Infine è evidente l'ingiustizia del vantaggio recato alla ditta favorita, che
ha acquisito contratti senza sottoporsi a una competizione con i concorrenti.
4. Il ricorso va quindi respinto e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.
PQM
La Corte di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
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