VINCOLI ESPROPRIATIVI E VINCOLI CONFORMATIVI
PROGETTAZIONI: ILLEGITTIME LE SOCIETA' MISTE
CONSIGLIO DI STATO, SEZ
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - sentenza 25 maggio 2005 n.
2718 - Pres.
Venturini, Est. Salvatore - Campanile ed altri (Avv. Ventura) c.
Comune di Bari (Avv.ti Lanza e Baldi) - (conferma T.A.R. Puglia - Bari, Sez. I,
16 marzo 2004, n. 1630).
F A T T O
I germani Marco, Michele, Anna, Rosaria, Teresa e Liliana
Campanile, con ricorso al TAR Puglia, sede di Bari, esponevano di essere
proprietari di un pregevolissimo immobile sito in pieno centro urbano di Bari,
tra via Omodeo, via G. Dorso, via Salvemini e strada di nuova viabilità,
identificato in catasto al foglio 40 particelle 172 e77, di circa mq. 6.000,
intercluso da ogni lato da zone di "completamento B3" e tipizzato
dalla variante al P.R.G. approvata, con D.P.G.R. n. 1745 dell'8 luglio 1976 per
la maggior parte a "area a verde pubblico - verde dì
quartiere" e in minima misura a viabilità di P.R.G., della
quale il Comune aveva disposto l’occupazione temporanea e d’urgenza per la
realizzazione del progetto ristrutturazione dell’area in questione al fine di
adibirla a Piazzale Alberato.
Ciò premesso, impugnavano i seguenti provvedimenti:
decreto del dirigente la ripartizione lavori pubblici del comune di Bari n. 54
del 7 ottobre 2002, notificato col relativo avviso pure impugnato, in data 11
dicembre 2002, con il quale si disponeva per il giorno 5 novembre 2002
l’occupazione temporanea e d’urgenza del suolo predetto; la deliberazione della
G.M. n. 348 del 27 marzo 2002, contenente l’adozione del progetto preliminare;
la determinazione dirigenziale n. 2002/160/597 del 21 giugno 2002, di
approvazione del progetto definitivo; la determinazione dirigenziale n.
200/160/907 dell'11 settembre 2002, con la quale è stato approvato il progetto
esecutivo; la deliberazione della G.M. n.1047 del 27 settembre 2001, con la quale
il progetto sarebbe stato inserito nello schema del programma delle opere
pubbliche 2002/2004, con mutuo a contrarsi con la Cassa DD. PP., nell’anno
2002, per €. 774.685, 34 (= £ 1.500.000.000); la delibera di C.C. n. 50 del 10
aprile 2002, di integrazione e modificazione del piano annuale e triennale 00.
PP. 2002-2004; la delibera di C.C. n. 51 del 11 aprile 2002, avente ad
oggetto: "Esame ed approvazione del bilancio annuale di previsione per
l'esercizio finanziario 2002, con allegati la relazione previsionale
programmatica per il triennio 2002/2004 ed il bilancio pluriennale
2002/2004"; nonché ogni altro atto presupposto, conseguente o connesso
e chiedevano, inoltre, il risarcimento dei danni derivati per effetto
dell'esecuzione di tali provvedimenti illegittimi.
Il ricorso era affidato alle seguenti censure:
1). Violazione dell’art. 1 della legge 3 gennaio 1978, n.
1, come modificata dall’art. 4 legge 18 novembre 1998, n. 415, dell’art. 14,
comma 8 della legge 11 febbraio 1994, n. 109. Errore di presupposto circa la
conformità urbanistica dell’opera.
L’intervento è stato previsto su area sottoposta a vincolo
rigorosamente espropriativo, atteso che la predetta disposizione qualifica
l’area come di "proprietà pubblica", ormai decaduto ai sensi
dell'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187 per decorso del quinquennio,
senza che fosse stata attivata l’indispensabile procedura di variante.
2). Violazione dell'art.. 32, comma 2, lett. b) della
legge 8 giugno 1990, n. 142, come modificato dall’art. 15 legge 18 novembre
1998, n. 415 nel testo sostituito dal D.L. 3 aprile 1995, n. 101 convertito con
legge 2 giugno 1995, n. 216. Violazione dell’art. 16 legge regionale 11 maggio
2001, n. 13 e dell’art. 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, come modificata
dall’art. 4 legge 18 novembre 1998, n. 415. Incompetenza della G.M. ad
approvare il progetto definitivo.
Poiché l’intervento non è conforme allo strumento
urbanistico, la competenza sarebbe del C.C. per i progetti preliminari e della
G.M. per i progetti definitivi ed esecutivi.
3). Violazione dell'art.. 32, comma 2, lett. b) della
legge 8 giugno 1990, n. 142. Incompetenza.
Lo schema di programma triennale delle OO.PP. è stato
approvato dalla G. M. mentre detta approvazione rientra nella competenza del
Consiglio comunale.
4). Violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 8
della legge 11 febbraio 1994, n. 109. Eccesso di potere per falsità del
presupposto.
Il progetto relativo alle opere per cui è causa non
risulta inserito né nello schema del programma delle opere pubbliche né nelle
successive delibere di approvazione di tale programma ed è carente dello studio
di fattibilità.
5). Violazione e falsa applicazione dell’art. 14, commi 9
e 11 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e del D.M. 21 giugno 2001.
Le delibere impugnate non contengono la chiara distinzione
tra il programma triennale delle OO.PP, di cui al comma 1 del citato art. 14, e
l’elenco dei lavori da realizzare nell’anno (previsto dal comma 9 dello stesso
articolo.
6). Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 legge 25
giugno 1865, n. 2359. Inesistenza della dichiarazione di pubblica utilità per
mancanza e/o assoluta incertezza dei termini di inizio e ultimazione dei lavori
e delle espropriazioni.
La determinazione dirigenziale n. 597 del 21 giugno 2002
ha fissato solo tre dei quattro termini previsti dalla disposizione citata,
lasciando incerto il termine iniziale delle espropriazioni. Inoltre, il decreto
di occupazione è in contrasto con il provvedimento dichiarativo della pubblica
utilità, perché faceva decorrere i predetti termini dalla data di effettivo
inizio dei lavori e, non, come stabilito nella dichiarazione di pubblica
utilità, dalla data di esecutività della determinazione dirigenziale prima
citata.
7). Violazione dei principi fondamentali in materia di
impegno di spese da parte dei comuni, di cui all’art. 151, comma 4 del D. Lgs
18 agosto 2000, n. 267 e all’art. 14, comma 9 della legge 11 febbraio 1994, n.
109.
I provvedimenti impugnati, al fine di assicurare la
copertura finanziaria delle opere, fanno riferimento ad un mutuo non ancora
contratto, e in tal modo violano il principio della necessaria previsione della
copertura finanziaria.
Il Comune di Bari resisteva al ricorso che era respinto
con la sentenza in epigrafe specificata, contro la quale gli originari
ricorrenti hanno proposto il presente appello, chiedendone l’integrale riforma.
Il Comune di Bari si è costituito anche in questo grado
del giudizio.
Le parti hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi
difensive con apposite memorie.
L’appello è stato trattenuto in decisione alla pubblica
udienza del 1 marzo 2005.
D I R I T T O
1. Con il primo motivo di appello, riproduttivo del primo
motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano l’illegittimità dei provvedimenti
impugnati sul rilievo che le opere approvate con gli atti medesimi non sono
conformi alle previsioni del P.R.G..
Essendo scaduto, per decorso del termine di cinque anni di
cui all'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, il vincolo di natura
espropriativi previsto sull'area, l'Amministrazione avrebbe dovuto procedere
con la procedura di variante di cui all’art. 1, comma 5 della legge 3 gennaio
1978, n. 1 come modificato dall’art. 4 legge 18 novembre 1998, n. 415.
Ad avviso degli appellanti, infatti, il vincolo di
"area a verde pubblico – verde urbano", gravante sull’area in
questione e la cui disciplina è contenuta nell’art. 31 delle N.T.A. del P.R.G.,
costituisce, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, un vincolo
preordinato all’espropriazione e non un vincolo meramente conformativo a tempo
indeterminato e, come tale, non soggetto a decadenza ai sensi dell’art. 2 legge
19 novembre 1968, n. 1187.
1.1. Il Collegio osserva che la natura e la portata della
destinazione di zona a "verde pubblico – verde urbano", impressa
all’area di proprietà degli appellanti dalla variante generale al P.R.G. del
Comune di Bari approvata con D.P.G.R. n. 1475 del 8 luglio 1976, hanno formato
oggetto di esame da parte della Sezione con recente decisione (Sez. IV, 10
agosto 2004, n. 5490), dalle cui conclusioni non vi è motivo per discostarsi.
In tale occasione, la Sezione ha rilevato che, alla
stregua dei principi espressi dalla Corte costituzionale, con la sentenza 20
maggio 1999, n. 179 - dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del
combinato disposto degli articoli 7, n.2, 3 e 4 e 40 della legge 17 agosto
1942, n. 1150, e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, nella
parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici
scaduti preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità,
senza la previsione di un indennizzo - i vincoli urbanistici non
indennizzabili, e che sfuggono alla previsione del predetto articolo 2 della
legge 19 novembre 1968, n. 1187, sono quelli che riguardano intere categorie di
beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli
urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, e che devono essere
indennizzati, sono: a) quelli preordinati all’espropriazione ovvero aventi
carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento
incisivo della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel tempo dal
legislatore statale o regionale, attraverso l’imposizione a titolo particolare
su beni determinati di condizioni di inedificabilità assoluta; b) quelli che
superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia
l’esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio
con l’approvazione dei piani urbanistici esecutivi; c) quelli che superano
quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della
proprietà regolata dalla legge nell’ambito dell’art. 42 Cost..
La Sezione ha, poi, precisato che di tali principi ha
fatto coerente applicazione l’orientamento di questo Consiglio di Stato,
secondo il quale costituiscono vincoli soggetti a decadenza, ai sensi
dell’articolo 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, quelli preordinati
all’espropriazione, o che comportino l’inedificabilità, e che, dunque, svuotano
il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene in modo
tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero
diminuendone significativamente il suo valore di scambio.
Sulla base di tali generali premesse, la decisione ha ritenuto
che, nel caso di specie, la destinazione di "area a verde pubblico – verde
urbano" costituisce espressione della potestà conformativa del
pianificatore, avente validità a tempo indeterminato, come correttamente
affermato dal primo giudice.
Difatti, l’art. 31 delle N.T.A., che destina le "aree
a verde pubblico" al tempo libero e quindi all’utilizzo da parte della
collettività (in tal senso dovendosi correttamente intendersi l’espressione
"sono di proprietà pubblica" che, altrimenti, nel contesto in cui è
inserita, non potrebbe giuridicamente avere portata attributiva di proprietà
alcuna), prevede, peraltro, che su tali aree possano essere ubicate
attrezzature per lo svago, chioschi, bar, teatri all’aperto, impianti sportivi
per allenamento e spettacolo, e simili, nonché biblioteche e giochi per
bambini, e consente, altresì, la costruzione di edifici ed impianti previa
approvazione di piano particolareggiato o di progetto planovolumetrico.
Da qui la conclusione che, essendo consentita, anche ad
iniziativa del proprietario, la realizzazione di opere e strutture intese
all’effettivo godimento del verde, va escluso, ex se, la configurabilità
di uno svuotamento incisivo del contenuto del diritto di proprietà, permanendo
comunque la utilizzabilità dell’area rispetto alla sua destinazione naturale e
non è, quindi, ravvisabile alcun vincolo preordinato all’espropriazione né
comportante inedificabilità assoluta né è configurabile un obbligo di nuova
tipizzazione.
1.2. La difesa degli appellanti, con la memoria del 15
febbraio 2005, sostiene che, a fronte dell’orientamento espresso con la
decisone di questa Sezione n. 5490 del 10 agosto 2004, vi sarebbe un nutrito
numero di decisione sia di questa Sezione (24 febbraio 2004, n. 745; 17
dicembre 2003, n. 8290; 29 agosto 2002, n. 4340; 2 dicembre 1999, n. 1769) sia
della Sezione Quinta (3 gennaio 2001, n. 3; 6 ottobre 2000, n. 5326 e 5327),
secondo cui quello a "verde pubblico" sarebbe un vero e proprio
vincolo localizzativi, espropriativi e di inedificabilità, soggetto come tale a
decadenza.
In tale quadro, e indipendentemente dal ricorso alla Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo già proposto dalle parti private contro la
decisione n. 5490 del 2004, avanti citata, si imporrebbe la rimessione della
questione all’Adunanza Plenaria delle Sezioni giurisdizionali di questo
Consiglio di Stato, attesi gli aspetti particolarmente delicati e complessi che
la questione presenta.
Ad ulteriore sostegno della propria tesi, la difesa degli
appellanti aggiunge che all’indirizzo che attribuisce al vincolo in parola il
carattere "ablatorio-espropriativo" soggetto a decadenza, ha aderito
anche la Corte costituzionale con la sente......